Nel panorama oramai vasto e poco variegato dei film tratti dai fumetti, la serie di Hellboy si distingue nettamente per il suo stile narrativo, certamente più targettizzato: lungi dall’essere il solito action-movie col supereroe onnipotente che combatte il male, si pone invece come vero e proprio fantasy con i tratti della commedia. Un unicum nel suo genere, che lo rende – se non apprezzabile proprio per tutti i palati – almeno originale e a tratti spiazzante per il suo umorismo.

D’altronde oggi possiamo forse ritenere un tratto peculiare di film di questo genere i mirabolanti effetti speciali, la cura della fotografia o la confezione accattivante? Hellboy: The Golden Army di tali qualità ne ha da vendere, ma ne più né meno di altri comic-book movie. Girato con un bel gruzzolo di milioni di dollari, derivati dall’ottimo successo del primo capitolo (un film quasi low-budget per il suo genere) e dal nome del suo regista, quel Guillermo del Toro capace di trasformare in oro tutto ciò che la sua arte tocca, questo secondo episodio della saga è più ricco e curato del primo, è una gioia per gli occhi, ma soprattutto brilla per i suoi dialoghi e le sue battute sempre inattese e spiazzanti, che gli donano uno stile quasi parodistico.

Il mostro rosso dal pugno di pietra si trova stavolta a dover fronteggiare la sete di potere di un essere del mondo fantastico, il quale vuole impadronirsi di quella invincibile Golden Army che il padre (re degli esseri fantastici) rese dormiente e inoffensiva, al fine di stipulare una pace durevole col mondo degli umani. Assieme ad Hellboy ci saranno ancora l’uomo-pesce Abe, la pirocinetica Liz e un nuovo simpatico essere venuto dalla Germania, Johann Krauss.

Guillermo del Toro ribadisce ancora una volta come il fantasy sia il suo terreno ideale: lo aveva fatto già con i due film spagnoli della sua carriera (La spina del diavolo e Il labirinto del fauno), qui lo sancisce definitivamente, dando vita ad uno stile che oramai possiamo distinguere in maniera inconfondibile. Uno stile fatto di personaggi che ritornano, di figure quasi oniriche, di esseri da film dell’orrore per le loro inquietanti fattezze: del Toro ce li ripropone “impunemente” da un film all’altro, come accade qui con la “mano che vede” di Abe e con quel personaggio dal volto “incappucciato”, che non possono non ricordare alcuni tratti delle figure impressionanti che compaiono ne Il labirinto del fauno.

Il suo fantasy-commedia è comunque un film godibilissimo, che accoglie la non facile sfida di rendersi gradito anche alla visione di chi non ama il genere fatto di elfi e creature di un altro mondo. È in più un secondo capitolo un po’ anomalo, pensato per essere fruito senza la minima difficoltà anche da chi non ha visto il primo film. Piacerà infine a tutti quelli che nel buio della sala amano godere di un montaggio perfetto, di effetti speciali impeccabili e di colori sgargianti. Insomma, del Toro prova a mettere d’accordo tutti e ci riesce sul serio. Siamo davvero di fronte ad uno dei registi più dotati dell’ultimo decennio.

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