Dopo il discreto successo dell’operazione revival condotta con Rocky Balboa, Silvester Stallone riprende in mano anche l’altro suo personaggio storico per riportarlo in vita per l’ultima (?) volta: tanto per assicurarsi una pensione dignitosa insomma, non sia mai ne avesse avuto bisogno. Davanti a mere operazioni commerciali di questo tipo, create ad arte per il mercato dei fan di vecchia data, di solito c’è poco da aggiungere. Il fatto è che però, sia in questo caso che nel caso dell’ultimo Rocky, Stallone non si limita a realizzare il filmetto dell’addio, ma vuole sempre metterci qualcosa di suo e qualcosa di troppo. Dimenticando che non è per la morale o per lo spessore che i suoi personaggi sono divenuti famosi.
Nel caso del quarto Rambo, ci mette lo zampino anche la distribuzione italiana, che intitola il film John Rambo, proprio per cavalcare l’onda dell’operazione revival cominciata lo scorso anno. A rendere il resto ancora più caricaturale di quanto non potesse essere già di per sé ci pensa Stallone stesso, che infila a forza nel film la tematica attuale della situazione birmana (salita di recente alla ribalta delle cronache mondiali), rendendo il suo personaggio da eroe del “vivere per niente, morire per qualcosa”, ad alfiere della liberazione di un popolo. Esagerazione non da poco.
Per di più, la sua regia indulge continuamente in scene didascaliche e demagogiche, tra braccia strappate e arti mozzati a colpi di macete, donne stuprate e frasi da antologia della citazione trash. C’è pure posto per la sequenza del dialogo rivelatore sotto la pioggia! Insomma, una mescolanza di luoghi comuni stilistici e di furbe trovate tematiche che vorrebbero osare l’impossibile: rendere Rambo un film con ansie da pellicola impegnata. Tempo sprecato.
Specie se gli si aggiungono elementi da cinema splatter che sforano ampiamente nella comicità (si vedano i brandelli di corpi e le teste esplose sotto i colpi di artiglieria del prode guerriero selvaggio: roba da grindhouse); e un finale raffazzonato, che alla velocità di un taglio di montaggio sposta il protagonista dalla giungla asiatica alla fattoria dell’Arizona abbandonata decenni prima.
Molto meglio sarebbe stato se ci si fosse concentrati solo sul solito Rambo: quello che irrompe sulla scena salvando tutti, armato solo di arco e frecce, che arriva sempre al momento giusto e non ce n’è più per nessun esercito. Quelle sì sono le esagerazioni che siamo dispostissimi a perdonare. Quelle fanno di John Rambo il classico film d’azione “duro e puro”, senza pretese e per giunta discretamente girato. Quelle lo rendono la classica pellicola da campionario del cinema coatto, adatta alla serata disimpegnato, ma da vivere rigorosamente in sala. Tutto il resto – tanto per rimanere nell’ambito della citazione trash – … è noia!
Sì, ci credo! Pure io ridevo e quasi applaudivo quando lui entrava in scena e con l’arco e le frecce faceva fuori due eserciti o quando compariva come il sole che sorge e sgozzava il tipo prima dell’esecuzione! E’ roba che strappa l’applauso ironico/divertito per la sua genuina e assolutamente innocente e inoffensiva assurdità. Se poi erano applausi seri, è la dimostrazione che è il classico film per fan, che piace (sul serio) ai fan e che solo loro possono affollare le sale per vederlo. Niente di strano, ripeto.
Saluti
Posso dirti che ho visto questo film e la sala me compreso alla fine ha applaudito…