Rendition

Va dato atto a Gavin Hood, regista dell’impegnato Tsotsi, per il quale si è guadagnato il Premio Oscar, di sapersi cimentare con le tematiche politiche e sociali quando sono ancora di stretta attualità, quando sono cioè ancora fonte di discussione e di interpretazione e non già materia per gli storici. Se compito dell’arte è di rappresentare il suo tempo, Hood sa fare il suo lavoro, sebbene non sempre le sue opere siano esenti da pecche, come nel caso di questo comunque coraggioso Rendition.

Incentrato sul tema delle missioni di extraordinary rendition (quelle con le quali gli Americani prelevano i presunti terroristi fuori dai confini statunitensi, per interrogarli ed evitare le procedure di estradizione), il film gioca tutto sull’impatto della tematica, sull’ottimo e costante ritmo che lo sorregge per due ore, sulla tensione dell’elemento giallistico e soprattutto sulla questione morale post 11 Settembre che attanaglia il protagonista, interpretato da Jake Gyllenhaal.

Lui è un agente della CIA di stanza in Nord Africa che, dopo aver rischiato la vita in un attentato, viene inviato ad assistere agli interrogatori fatti ad uno dei presunti fiancheggiatori degli attentatori. Quest’ultimo (interpretato da Omar Metwally), sposato con un’americana (Reese Whiterspoon), viene prelevato dal suo aereo dal ritorno dal Sudafrica e messo sotto tortura, mentre la moglie tenta invano di carpire sue notizie dall’America, intercedendo presso una senatrice (Meryl Streep).

Splendidamente confezionato e ben orchestrato, il film alterna felicemente le scene in parallelo delle differenti location, senza mai perdere il minimo contatto con l’attenzione dello spettatore. Solo nel finale il gioco di montaggio fra flashback e flashforward risulta azzardato e incomprensibile (sia tecnicamente che narrativamente) e appesantisce la narrazione con un orpello tecnico inutile. Sembra solo il classico colpo di teatro del regista che decide di farsi notare e di porre la sua firma visibile: ma più discrezione questa volta sarebbe stata gradita.

Ciò nonostante lo scontro fra politica e morale, ragion di stato e sentimenti privati, carriera e giustizia che i protagonisti affrontano alza la posta in gioco e rende il film profondo oltre che godibilissimo. La patina americana e hollywoodiana rimane, ma un riconoscimento al coraggio di andare controcorrente in America su temi come tortura, leggi sul terrorismo e metodi coercitivi va certamente dato.

 

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