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Reclamizzato come una perfetta evoluzione dell’eroismo moderno, Jumper dimostra invece la sua età naturale. Tratto da un racconto sci-fi ideato da Steven Gould nel 1992, narra della lotta tra i jumper e i paladini; una setta di esaltati capeggiati da un opaco Samuel L. Jackson. Il protagonista, un ragazzo di nome Davey, scopre di possedere il dono del teletrasporto a diciassette anni.

Infastidito dall’inesistente rapporto col padre e amareggiato per l’allontanamento della madre quando lui aveva appena cinque anni, decide di servire il lato oscuro della causa. Utilizza così quel dono per arricchirsi furbescamente fingendo di lavorare in banca e potendo visitare qualsiasi luogo del mondo, viaggia continuamente per sette anni; fino a quando uno dei paladini non si mette sulle sue tracce…

Stando all’attuale profilo “psicologico”, Davey si inserisce facilmente nel girone degli eroi dannati dei primi anni novanta, tra Spawn di Todd Mcfarlane e Darkness di Silvestri/Turner. Nonostante la pellicola sia in parte firmata da un veterano come David Goyer (Blade, Batman begins), l’impronta del regista e dei suoi collaboratori (Simon Kingber, Lucas Foster) è oltremodo insistente. La prevedibilità con cui Doug Liman sviluppa il concetto del teletrasporto è imbarazzante oltre che, bisogna dargliene atto, spettacolare.

Che sia un regista appariscente, in grado di esaltare massicciamente la forza delle immagini con l’artificiosità della computer grafica lo avevamo già capito dall’insulso Mr. & Mrs. Smith: cafone action movie privo di trama. E benché in Jumper tenti la carta del lato oscuro, con tanto di ritorno al passato e un cinico happy ending (“noi non siamo degli eroi, non salviamo le ragazze in difficoltà”), l’approssimativo storyline non permette di identificarsi con l’antipatico protagonista. La tanto decantata scena realizzata nel Colosseo, inoltre, è in verità la sola sequenza che abbia un senso se confrontata con le altre location – tante cartoline animate osservate dalla lunga distanza.

Sul versante opposto, il mono espressivo Hayden Christensen ha la sfortuna di possedere tutti gli aggettivi fisici degli eroi belli e dannati a parte l’elemento più importante: il carisma. L’azione diverte a patto di chiudere un occhio sulla logica narrativa: buchi di sceneggiatura e inspiegabili dimenticanze infatti lasciano l’amaro in bocca per la precarietà del loro contenuto. Insomma, se apprezzate l’azione fine a se stessa e nonostante tutto siete rimasti giovani dentro, Jumper potrebbe anche divertirvi. Ma badate bene, ho detto potrebbe…

 

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