Si può dire che la stagione d’oro della nuova commedia francese contemporanea sia iniziata con quel gioiellino di originalità e semplicità che fu Il favoloso mondo di Amelie. Da allora il genere ha avuto oltralpe momenti di brillantezza e di successo, che hanno travalicato i confini nazionali. A sfruttare l’onda, riproponendo una propria versione delle tematiche alla Amelie, ci prova anche Eric-Emmanuel Schmitt, che al suo esordio dirige un film discreto, seppure a due velocità, capace di iniziare in quarta ma di perdersi man mano che avanza.
Lo stesso adattamento italiano del titolo originale Odette Toulemonde, che diviene da noi Lezioni di felicità, strizza l’occhio a quel mondo favoloso, fatto di semplici cose di tutti i giorni, che Amelie portò alla ribalta, come riscossa dell’universo piccolo-borghese che reclamava il suo posto al sole e il diritto ad essere felici con poco.
Proprio da quel mondo proviene anche la protagonista del film di Schmitt: una commessa di un grande magazzino (la brava Catherine Frot), vedova, con due figli in casa (uno gay e simpatico, l’altra scostante e in perenne protesta col mondo) e con un amore smodato per uno scrittore di romanzetti da “cassiere, portiere e shampiste” (così viene definito dalla critica). La donna scriverà al suo idolo (Albert Dupontel), rivelandole quanto sia importante per la sua vita, proprio nel momento in cui lui viene abbandonato dalla moglie e la sua popolarità è in caduta libera. E allora si verificherà il miracolo: i due entreranno in contatto.
Si assiste così all’incontro/scontro fra due visioni diverse della vita: lei, donna semplice e affatto colta, ancora fedele al marito defunto, rinchiusa nella sua vita da madre di famiglia ma capace di sollevarsi da terra nella sua immaginazione ogni volta che è felice anche per le cose più piccole; e lui, venuto d’improvviso a comprendere la pochezza della sua arte, sconvolto nel lavoro e nella vita privata, ma affascinato da questa donna che saprà un decimo di quello che sa lui, ma sa essere dolce e sa amare.
Il film trascina lo spettatore con convinzione e brio per tutta la prima ora, a suon di situazioni leggere e semplici ma ben orchestrate, dipingendo quel mondo di personaggi da sottocultura ma innocui e gentili. Peccato che tale discreto risultato venga vanificato quasi totalmente dall’ultima parte, che vira verso un lato romantico e un po’ fuori luogo, rallenta il ritmo, cede alla scontatezza e conduce inesorabilmente ad un finale improbabile e un po’ stonato, con la protagonista ridotta a freddo direttore d’orchestra della vita propria e di quella dell’uomo che in fondo ama.
Ciò non toglie che Lezioni di felicità sia da consigliare a chiunque voglia respirare l’aria di quel mondo semplice e senza pretese, capace di regalare più di un sorriso e di far volare con la fantasia, esattamente come fa la Odette Toulemonde del film di Schmitt.
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