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Raccontare le donne degli anni Sessanta e Settanta, la difficile costruzione di un’identità collettiva, la rivoluzione sessuale, la conquista di libertà oggi date per scontate: questo e molto altro il contenuto del caleidoscopico Vogliamo anche le rose, scritto e diretto dalla giovane regista Alina Marazzi, già nota per il bellissimo documentario Un’ora sola ti vorrei (dedicato alla madre).

Immagini di repertorio, filmati amatoriali, inchieste televisive, foto, pubblicità, fotoromanzi, diari e riflessioni di donne che, fra la fine degli anni Cinquanta e la fine degli anni Settanta, si trovarono ad essere protagoniste di una stagione senza precedenti (ed a tutt’oggi senza confronto) all’interno di un più vasto movimento che segnò in modo indelebile la “nostra” storia, italiana e femminile, culminando nella battaglia per rendere legale la pratica dell’aborto, con il varo della legge 194 ed il successivo referendum.

“Questo film è frutto di un percorso di ricerca e di un vasto lavoro d’archivio – afferma la regista – che ho incentrato, man mano che costruivo la struttura del film, sul tema della rivoluzione sessuale. M’interessava raccontare la storia degli anni Sessanta e Settanta attraverso le soggettività, le storie singole delle donne nella loro quotidianità. Per farlo sono partita da due fonti istituzionali molto diverse fra loro: le Teche RAI e l’Archivio del Movimento Operaio italiano, più orientato a sinistra”. Ma Alina utilizza come perno del film anche delle fonti non-ufficiali, cioè i diari di tre giovani donne – Anita, Teresa e Valentina – che testimoniano con poesia, pur non conoscendosi fra loro, stati d’animo e lotte comuni, verso la famiglia, le convenzioni sociali, la politica, il sesso.

Anita, adolescente nel 1964 e cresciuta in una severa famiglia borghese, vorrebbe avere le sue prime esperienze con l’altro sesso, ma è inibita e repressa dalla sua educazione. Teresa, dall’altra parte della penisola, rimane invece incinta a vent’anni, nel 1976, quando l’aborto è ancora illegale: decide di andare a Roma per un aborto clandestino e, da quel momento, comprende che le sue lotte non sono più solo slogan ma si calano nella realtà della vita. La terza storia, raccontata attraverso le pagine di un diario, è quella di Valentina, militante femminista nella storica sede romana di Via del Governo Vecchio, che nel 1977 vive con intensità la sua vita fra attività politiche e relazioni private.

E’ lei a scrivere una frase emblematica, sul cui significato sembra voler riflettere l’intero film: “Siamo sconfitti entrambi, uomini e donne, dopo il ’77 e penso che i veri effetti saranno lenti ad insediarsi nelle nostre coscienze”. Girato con uno stile del tutto personale, oltre che con divertimento, garbo ed ironia, il docu-film è superbamente montato da Ilaria Francioli: la rapida e colorata sequenza delle scene non annoia mai, documentando, piuttosto, con sapide “chicche” d’epoca e, ciò che più conta (pur senza essere un’opera “militante” in senso stretto) riattualizzando e sottolinendo che certe conquiste non si toccano, tanto per citare un famosissimo slogan, fra il serio e il faceto: “il corpo è (ancora) mio e me lo gestisco io”.

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