Tutta la vita davanti

Chi di noi non si è mai sentito dire da un adulto, almeno una volta nella vita, questa emblematica frase: “Eh, ma tu sei giovane! Hai tutta una vita davanti…” Proprio questa espressione diventa oggi, con valore simbolico, il titolo dell’ultimo film di Paolo Virzì, uno dei più interessanti registi italiani delle giovani generazioni, noto per film come Ovosodo, Caterina va in città, N (Io e Napoleone).

Distinguendosi per la grande capacità di indagare e descrivere le problematiche sociali e giovanili che attraversano la storia, Virzì disegna anche in Tutta la vita davanti un affresco a tutto tondo – particolarmente riuscito per sensibilità estetica, attualità dei contenuti ed originalità di stile – sull’Italia del lavoro precario e sulle scarse prospettive dei giovani del nostro paese di vedere realizzate le proprie aspirazioni.

Marta, la protagonista è una studentessa palermitana fuori sede che, nella prima scena del film, si laurea in filosofia teoretica con il massimo dei voti e la lode presso un’università della capitale: immersa nel suo mondo intellettuale, la brillante (quanto graziosa!) giovane studiosa di Heidegger e Hanna Harendt, non si era mai accorta prima di quanto fosse ostile il mondo del lavoro; dopo una serie di risposte negative e porte in faccia dalle case editrici, dai giornali e dalla scuola, Marta accetta un lavoro da baby sitter ed un part-time presso il call-center dell’azienda Multiple Italia, un’azienda che reclamizza un elettrodomestico dalla dubbia utilità schiacciando le individualità dei giovani precari e creando fra loro invidia e competizione.

“Ho messo in questo film lo spirito del nostro tempo – afferma Virzì – ed ho cercato di raccontarlo attraverso gli occhi di una ragazza senza pregiudizi, che entra nel mondo della sotto-occupazione. Il film nasce dall’osservazione sul campo e dalle storie di tanti ragazzi condannati al precariato o in fuga all’estero, che ci hanno raccontato le loro esperienze, sulle quali abbiamo anche lavorato di fantasia. Ma il film ha un tono sapido, vivace, ironico, mai lamentoso, perché non mi piacciono i film che si autocommiserano”.

La sceneggiatura, firmata dallo stesso regista insieme a Francesco Bruni, oltre che sui meccanismi spietati e predatori di un’azienda che consuma e sfrutta il lavoro dei giovani senza offrire in cambio né diritti né garanzie, allarga la visuale anche sui differenti personaggi che ruotano intorno a Marta, arricchendo di sfumature il carattere della protagonista stessa. Giorgio Conforti, interpretato dal credibilissimo Valerio Mastandrea, è il sindacalista della CGIL-NIDIL che tenta invano di seminare il verbo delle tutele sindacali fra le ragazze del call-center, finchè la stessa Marta, nel momento del bisogno, smetterà di prenderlo in giro e si rivolgerà a lui per consigli. Lucio, il sempre grande Elio Germano, è un venditore d’assalto che detiene con voluttà lunghe liste di nominativi da contattare e s’invaghisce di Marta fra un attacco isterico ed un gioco virile proposto ai maschi dell’azienda per scaricare l’aggressività.

Poi i due “capi” di Marta: Daniela, un’agguerrita e leopardata Sabrina Ferilli (sempre in forma ma con toni più contenuti) che tresca con il grande boss Claudio, un vero mago dell’“inciucio” e della menzogna, interpretato con la dovuta antipatia da Massimo Ghini. Infine Sonia e Lara, che compongono la “famiglia” presso cui Marta si stabilisce a fare la baby-sitter: Sonia, la madre, è una donna immatura, ignorante e sciagurata che lavora con scarsissimi risultati presso il call-center della Multiple; Lara, la bambina, è dolce e autonoma, quasi abbandonata a sé stessa dalla madre e si affeziona moltissimo a Marta.

“Il mio personaggio non era facile da interpretare – afferma la vera rivelazione del film, Isabella Ragonesi – perché rappresenta il punto di vista del film: Marta entra nel mondo del lavoro e nella Roma di Parco Leonardo come una straniera. E’ meridionale, è laureata, non ha la televisione, non segue il Grande Fratello. All’inizio sembra divertirsi, si lascia andare ma poi le cose cambiano. Ho cercato di trovare Marta nel rapporto con gli altri. Lei si relaziona con le sue armi: la gentilezza, la cultura, l’accoglienza. Tiene sullo schermo del pc la foto della filosofa Hanna Harendt, e come lei è una persona che non condanna, è piena di compassione”.

Girato in 11 settimane di riprese tra luglio e settembre in una Roma estiva e semi-deserta, il film ha utilizzato più macchine da presa contemporaneamente, con movimenti e punti macchina suggestivi e di grande ritmo, necessari ad affrontare le numerose scene di massa che hanno coinvolto complessivamente circa 3000 figuranti. Una bella scena finale, nella quale quattro donne completamente diverse mangiano insieme in un cortile all’aperto, lascia spazio ad un germe di speranza e solidarietà dopo lo sgomento che assale lo spettatore per i tanti eventi apparentemente assurdi che compongono la narrazione, mostrando, ciò che è più grave, l’Italia di oggi senza veli.