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I grandi registi si dimostrano tali quando si misurano con un genere e sono capaci di riscriverne le regole. Trent’anni dopo The Last Waltz (dedicato a Bob Dylan), Martin Scorsese torna al documentario musicale e firma una prova d’autore monumentale, che non ridisegna tutti i canoni del genere, ma di certo riscrive quelli registici. D’ora in poi qualunque film musicale dovrà misurarsi con Shine a Light e con i canoni stilistici della perfezione fatta regia.

Certo, grossa parte del merito per lo splendido risultato finale è da imputarsi ai Rolling Stones, alla loro performance da vecchi animali da palcoscenico, all’impressionante forza e alla grinta trascinante di un gruppo di ultra-sessantenni più in palla che mai. Sfidiamo orde di star e cantantucoli ventenni di oggi ad arrivare a 65 anni per saltare, ballare e cantare su un palco per due ore di seguito, trasmettendo ritmo e ondeggiando come in trance!

Tanta è l’energia sprigionata da Jagger e soci che quasi non si nota lo stacco con gli inserti d’epoca in bianco e nero che Scorsese piazza tra una canzone e l’altra del concerto ripreso al Beacon Theatre di New York nel 2006: interviste e riprese varie in cui figura tutta l’eccentricità e la “trasgressione” del primo vero gruppo rock. Per la serie “Come eravamo – Come siamo ancora!”.

Operazione che fa pendant stilistico con la scelta di Scorsese di esordire con una decina di minuti in bianco e nero che riprendono sia il backstage prima del concerto che i giorni precedenti la serata delle riprese: un lavoro preparatorio che rivela non solo una regia esigente e perfezionista, ma anche un gruppo i ragazzini sessantenni che giocano e scherzano come in quei filmati anni Sessanta/Settanta che lo spettatore riscopre più avanti.

I dieci minuti iniziali aprono la pista all’inizio del concerto vero e proprio: due ore di rock duro e puro, con pochi lenti (affidati alla chitarra e alla voce di Keith Richards), con qualche escursione addirittura nelle sonorità country (omaggio all’America che ospita il concerto) e con duetti di buon livello (come quello con Jack White dei White Stripes o con Christina Aguilera) o addirittura memorabili, come quello con Buddy Guy e la sua chitarra.

Si può imputare agli Stones di non aver scelto una scaletta “facile” o commerciale (pochissimi i pezzi di richiamo storico) e ciò distacca l’opera di Scorsese da film analoghi come lo splendido The Song Remains The Same (con le riprese di un indimenticabile concerto newyorkese dei Led Zeppelin). Ma Shine a Light lo si gusta per la regia esperta e visionaria del suo “direttore d’orchestra”, prima ancora (non ce ne vogliano i 4 ragazzini sessantenni) che per la forza dei Rolling Stones. In ogni caso, un connubio di grandi artisti che passerà alla storia per aver dato vita ad un vero capolavoro del genere.

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