“I’m sorry if I’m late”
“Don’t be sorry. You were travelling?”

“Oh, no! My loft is just a couple of blocks away”.

Interview è il primo remake americano della trilogia olandese che ha portato Theo Van Gogh alla morte e vede dietro la macchina da presa uno degli attori più “Off” di Hollywood, quel Steve Buscemi che ha reso Fargo dei Cohen così grande e si è ritagliato piccole apparizioni in serie tv di culto come I soprano ed in film già cult come Coffee and Cigarettes di Jarmusch.

Il progetto di cui questo film rappresenta la prima parte, era già in fieri prima della tragica scomparsa del suo autore, il quale, di comune accordo con il suo produttore Gijs Van De Westelaken, aveva deciso di girare nuovamente i tre film utilizzando interpreti e location americane, pur mantenendo la già utilizzata ed originale tecnica di ripresa digitale contemporanea (tre telecamere allo stesso tempo).

Riferimenti al regista ed autore olandese sono ovunque in questo dramma contemporaneo, a partire dal fatto che la madre della protagonista femminile (una splendida Sienna Miller, che buca lo schermo ed entra sotto la pelle) è olandese, il giornalista (Buscemi) risponde dicendo che è stato ad Amsterdam più volte, il camion dei traslocatori reca la scritta “Van Gogh Movers”, i tulipani gialli sul tavolino a casa di lei…ed infine la sua foto che, consapevoli dell’accaduto, è decisamente una visione dolorosa.

La scena del ballo tra l’anonimo (o forse no?) reporter di guerra over 40 e la 25enne dea delle soap è il sogno segreto di tutti i “signor nessuno”. Sensuale, equilibrata e sospesa nel tempo: un esempio di grande cinema. Chapeau.

“Tu non mi intervisterai adesso” “E come farò? Devo pur scrivere qualcosa!” “Fai come fanno tutti. Inventa”.

“Cosa rende interessante un uomo agli occhi di una donna? Una cicatrice. Perché la maggior parte delle donne ne ha una”.

Ma il film rimane aperto e la vera domanda resta: “Chi ha davvero intervistato chi? Dov’è, se esiste, la verità?”

La scena dello spionaggio nel bagno, con le mura tappezzate di copertine vintage alla Dita Von Teese, è davvero un tocco da maestro.

Grande film e grandissimo finale da non consigliare, però, ai minori di 18 anni. La violenza psicologica, infatti, è decisamente più dura di quella fisica. La dedica al grandissimo Robert Altman (inserita nei titoli di coda) per aver ispirato questo film è, semplicemente, la ciliegina sulla torta.

Da non perdere.

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