Il genio dell’umorismo nero, Alex de la Iglesia, esce dai confini del cinema spagnolo e da quelli della commedia, forte del successo di gioielli come La comunidad e Crimen perfecto, per cimentarsi con una produzione americana di genere giallistico. Che non è il suo campo lo si intuisce però solo a risultato compiuto: Oxford Murders porta lo spettatore a braccetto tra i meandri di un mistero dai delicati equilibri logici, ma si dimentica di aggiungere un po’ di pepe alla storia, che risulterà alquanto scontata anche ai più smaliziati macinatori di gialli, stile Agatha Christie.

Strana commistione fra un thriller psicologico e un romanzo giallo vecchia maniera, il film di de la Iglesia poggia infatti le sue basi su un impianto filosofico comunque solido e piuttosto interessante, con teorie e riferimenti che vanno dai Pitagorici alla Teoria del Caos, passando per Wittgenstein. Perno centrale della storia e vera fonte dell’azione è infatti il personaggio interpretato da John Hurt, un famoso professore universitario, un po’ filosofo un po’ matematico, la cui teoria sui delitti perfetti viene messa alla prova dalle gesta di un serial killer, che comunica con lui (e lo sfida) tramite una serie di segni logici. Quello che dovrebbe in teoria essere il vero protagonista, il personaggio di Elija Wood, uno studente che vive all’ombra del noto professore, diventa insomma solo un pretesto, la testa di ponte fra l’autore e lo spettatore.

Il vero deus ex machina è il professor Seldom insomma, ma la sceneggiatura (co-firmata da de la Iglesia stesso) sembra tenerlo troppo a mente e non permette utili e fuorvianti divagazioni, che distraggano lo spettatore dal campo della logica filosofica e dalla soluzione del caso. Anzi, quando il film molla un po’ la presa (si veda la parte centrale), il ritmo rallenta troppo e la storia si avvolge su se stessa tra scene inconcludenti.

Senza nulla togliere all’ottima prova di John Hurt, all’interessante impianto filosofico di base e ad una regia che tra piani sequenza e montaggio serrato dimostra di sapere il fatto suo, rimane la sensazione di un film le cui enormi potenzialità potevano essere meglio sfruttate. Un film più che discreto e comunque godibile, ma non completo, il cui specchio è la presenza e la prova stessa di Elija Wood: uno che nasce per fare un ruolo e che per quanto si sforzi non riuscirà mai a scrollarsi di dosso quel fardello e quell’espressione, che continuano a farlo galleggiare nella mediocrità. Ad Alex de la Iglesia, che rimandiamo con fiducia alla prossima prova, un solo consiglio: quello di tornare ai fasti della commedia nera che lo ha reso famoso.

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1 Comment

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  1. 1
    miriam comito

    Sono perfettamente d’accordo con Luca. Anche io ho trovato Oxford murders non all’altezza dei precedenti film di De La Iglesia e in particolare di Crimen perfecto. Credo anche io che sia un film dalle enormi potenzialità non sfruttate

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