Lajos Koltai porta sul grande schermo il romanzo di Susan Minot, facendo affidamento sull’adattamento di Michael Cunningham, che ha il difetto di tradire in maniera evidente l’origine letteraria di uno script dai ritmi troppo blandi per il cinema, pensato chiaramente per un pubblico femminile, in particolare per quello della terza età, che potrà facilmente riconciliarsi con i temi affrontati dal film.

La protagonista di Un amore senza tempo (titolo originale è il ben più pregnante e meno ammiccante Evening) è difatti un anziana signora (l’ottima Vanessa Redgrave) che sul letto di morte, assistita dalle due figlie e da un’infermiera, tra i vaneggiamenti della malattia e l’esigenza di riappacificarsi con se stessa, comincia a ricordare la sua giovinezza, in particolare il periodo antecedente ai suoi due matrimoni, quando doveva fare da damigella a quello dell’amica e si districava fra l’amore di due giovani. E mentre l’anziana riflette fra sé e sé su ciò che sarebbe potuta essere la sua vita se avesse percorso strade diverse, le due figlie (interpretate da Toni Collette e Natasha Richardson) hanno modo di confrontarsi e chiarire i loro dissapori.

La sceneggiatura alterna senza soluzione di continuità presente e passato, che si susseguono nella mente della donna morente, accompagnati da momenti onirici e vaneggiamenti. Ma la soluzione adottata, di chiaro stampo letterario, soffre di discontinuità nei ritmi, pur riuscendo ad accostare felicemente le tematiche inerenti al passato della protagonista, con quelle del presente delle due figlie, anch’esse – come un tempo la madre – alla ricerca di una riconciliazione con le scelte fatte nella propria esistenza. Tuttavia le scene ambientate nel bucolico passato in riva al mare sono decisamente più vive e godibili, più movimentate e meno noiose di quelle statiche e riflessive sul letto di morte (ma non potrebbe essere diversamente). La discontinuità che ne consegue ammazza il film scena dopo scena.

Lo ravviva – ma mai adeguatamente – l’imponente presenza scenica (seppure immobile) di Vanessa Redgrave, che dirige letteralmente chiunque la circondi, pur ferma tra le lenzuola. Il fugace duetto finale con Meryl Streep (purtroppo relegata ad un’unica apparizione) è il suggello tematico e narrativo del film e un esempio di recitazione. Al cospetto di tal classe sfigurano ampiamente sia la Richardson che – soprattutto – Claire Danes, che interpreta la protagonista da giovane, utilizzando la stessa espressione per mezzo film: noia mortale! Se la cava meglio Toni Collette, classica attrice lievemente sottovalutata dal mainstream.

Interpretazioni a parte, il film di Koltai non brilla comunque sotto quasi nessun punto di vista. Sta di fatto che il pubblico della terza età lo apprezzerà sicuramente e per questo ci sentiamo di consigliarlo vivamente a tante donne, sorelle e figlie. Mediocre.

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