Adam Brooks tradisce il suo passato, certamente più fulgido come sceneggiatore (Che pasticcio, Bridget Jones, Wimbledon, French Kiss) che come regista: Certamente, forse può contare infatti su una storia e un impianto narrativo più originale del solito. Peccato che Brooks si dimentichi la stringatezza e finisca per annoiare il pubblico (specie quello maschile) ben prima del finale.
Il regista americano concepisce infatti la classica commedia romantica a stelle e strisce, con tanto (troppo) zucchero, lacrimucce qua e là, cast di alto livello e storiella senza grosse pretese. Ma la imbastisce sopra ad un impianto che potremmo definire da… thriller sentimentale! La sceneggiatura riesce infatti a tirare avanti per più di due ore solo coinvolgendo lo spettatore nello stesso gioco/indovinello cui è costretta la giovane protagonista (Abigail Breslin).
Il padre della bambina (Ryan Reynolds) è infatti il classico genitore appena divorziato dalla moglie, cui la figlia chiede il perché di quella separazione. Nel tentativo di ricordare al padre cosa l’avesse fatto innamorare, la piccola fa ripercorrere al genitore le tappe dei suoi ultimi anni di vita. Ma il padre trasforma il racconto in un gioco, cambiando i nomi delle protagoniste e chiedendo alla figlia di indovinare chi fra quelle ragazze sia divenuta sua madre. Sarà stata la fidanzata dei tempi del college (Elizabeth Banks)? O l’amica di vecchia data (Isla Fisher)? O ancora l’ambiziosa giornalista (Rachel Weisz)?
“Chiunque abbia sperimentato le schiaccianti sconfitte e i brillanti trionfi dell’amore – e tutto quello che c’è in mezzo – troverà sicuramente qualcosa in questo film”, ha dichiarato il protagonista, Ryan Reynolds. E in effetti il film coinvolge a lungo proprio per l’alternarsi delle vicende, per l’intreccio giocoso che coinvolge la piccola protagonista, che a sua volta aiuta il padre a riconsiderare le scelte che ha fatto nella vita.
Ma l’ultima mezz’ora di narrazione scade troppo nella ripetizione, si rincorre inutilmente e annoia a dismisura. A poco serve il finale, col suo barlume di originalità, rispetto ai classici cliché dei film di genere. Nota di merito, finalmente, per i titolasti italiani, che traducono letteralmente l’ottimo titolo originale, Definitely, Maybe, preso in prestito da un album degli Oasis.
Certamente, insomma, una commedia senza pretese e capace di coinvolgere lui e lei con una storia tutto sommato simpatica. Forse, però, qualcosa di più ce lo si poteva aspettare.
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