Anche Michael Douglas ha un’anima non commerciale. A giudicare dalle sue ultime apparizioni cinematografiche non lo si sarebbe mai detto. E invece l’esordiente Mike Cahill riesce a sdoganare il Douglas impegnato, al punto che Alla ricerca di Charlie si può dire sia un film cucito addosso all’attore americano e alla sua interpretazione geniale e perfetta, estroversa e giocosa come il suo folle personaggio. Le stesse lodi non possono essere però estese al resto della pellicola, solito film discreto, ma che attraverserà abbastanza fugacemente la memoria dello spettatore.

Il principale difetto dello script (firmato da Cahill stesso) sta nel mettere davvero troppa carne al fuoco. Le tematiche affrontate solo fugacemente sono tante: dal sogno americano (identificabile con la metafora della ricerca del tesoro) alla condanna del consumismo a favore della vita semplice; dal rapporto genitori-figli al dramma dei disturbi mentali; dalle difficoltà dell’adolescenza alle classiche dinamiche alienanti da vita di provincia. Troppo per un’oretta e mezza che sceglie lo stile non del drammatico, bensì della commedia favoleggiante, pazzerella, a tratti persino briosa (nella parte finale) e comunque sospesa fuori dal tempo e dallo spazio.

Tutte caratteristiche che, se da un parte non si prestano ad agganciarsi all’indagine sociale e umana delle tematiche suddette, dall’altra si sposano col carattere del protagonista (anzi, da lui stesso – deus ex machina di ogni sequenza – nascono e danno vita al film). Charlie è il padre di una ragazza (Evan Rachel Wood), rimasta orfana di madre e costretta a lasciare gli studi e a camparsi da sola dopo che l’unico genitore rimastole si era fatto rinchiudere in un ospedale psichiatrico. Uscitone, ora che la figlia ha sedici anni (pur dimostrandone, ovviamente molti di più), lungi dal tentare di ritrovare il rapporto con la figlia (che gli fa invece da baby-sitter), le scombussola di nuovo la vita, mettendosi alla ricerca di un fantomatico tesoro del 1600. E’ evidente che la cura psichiatrica non ha sortito tutti gli effetti, ma la povera ragazza è disposta a seguire in capo al mondo l’unico affetto rimastole.

Il contrasto fra i due personaggi, uno privo di qualche rotella, l’altra responsabile come nessuna adolescente (normale) potrebbe mai essere, si esplica alla perfezione nelle interpretazioni dei due protagonisti, con la Wood di Across the Universe sempre misurata e dentro le righe, a fare da spalla perfetta per un Douglas insolitamente a suo agio nei pani dell’estroso, imprevedibile e irresponsabile genitore.

Il ritmo scorre piacevolmente e gli spunti per qualche riflessione non mancano. Ma tutto lascia troppo presto il tempo che trova, gettando al vento sia gli sforzi degli attori che i buoni propositi contenutistici. Si esce dalla sala poco arricchiti e con la sensazione che il film passerà presto nel dimenticatoio. Per Cahill, comunque, un buon punto di partenza: attendiamolo alla prossima prova.

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