L’Orso d’Oro all’ultimo Festival di Berlino arriva nelle nostre sala con tutta la forza distruttiva e sconvolgente di una storia potente e importante, che strappa con forza il velo di ignoranza e menefreghismo che ricopre il dramma tutto brasiliano (ma non solo) delle favelas. Tropa de Elite è grande cinema. E dimostra che occorre che sia la cinematografia del singoli paesi a parlare delle vicende di casa propria. Con buona pace di Hollywood e della sua patina commerciale.
Josè Padilha esordisce alla regia dimostrando doti non comuni. Il suo film è forte sì di una sceneggiatura di ferro, ma può contare anche su un montaggio serrato e coinvolgente nelle scene d’azione e su un girato che porta lo spettatore al centro della scena, sballottato dalle riprese a spalla e dai toni di una fotografia cupa di notte e “graffiata” di giorno.
Il racconto è affidato alla voce di Nascimento (Wagner Moura), capitano di una squadra del Bope, reparto d’elite della polizia brasiliana, dedito alle incursioni nelle favelas, territorio di proprietà degli spacciatori armati fino ai denti, contro i quali la corrotta e poco attrezzata polizia statale non osa misurarsi. Il Bope si insinua nottetempo a sorpresa all’interno delle favelas, forte di un addestramento militare di prim’ordine, che riduce i suoi uomini a macchine da guerra, capaci di uccidere chiunque senza remore. In questo contesto si intrecciano le storie del capitano Nascimento (che a breve diverrà padre), quelle dei ragazzi di una ONG che opera all’interno di una favela (finendo tuttavia per favorire gli interessi dei trafficanti) e quelle di due giovani reclute della polizia, desiderose di entrare a far parte del Bope per scappare dalla corruzione dilagante nel proprio reparto.
La sceneggiatura (co-firmata da Padilha stesso) costringe lo spettatore ad un sensibile sforzo di attenzione per tenere conto dei numerosi personaggi che mette in scena, forte di una struttura circolare che collega con nessi di causa-effetto le singole vicende narrate: tutto si ricongiunge, tutto torna, tutto contribuisce a tessere un mosaico di cui si intuisce facilmente la complessità, affinchè il fenomeno favelas/polizia non venga ridotto a puro gioco mortale fra guardie e ladri, ma venga compreso nella sua importanza sociale.
Emergono così anche le ipocrisie e le ingiustizie di un paese spaccato in due fra ricchi e poveri, in cui si piange la morte della figlia di un imprenditore, ma non quella di mille ragazzini e poliziotti delle classi più basse; in cui ai poliziotti è permesso sparare impunemente a chiunque, ma solo nelle favelas; in cui il pattugliamento del territorio si riduce a lotta per chi arriva prima a estorcere la mazzetta per la protezione; in cui le organizzazioni umanitarie spacciano la “coscienza sociale” di giorno e la droga di notte.
Tropa de Elite colpisce allo stomaco senza remore, mostra la verità senza reticenze e allo stesso tempo coinvolge anche chi cerca il brivido dell’azione: Padilha dimostra di conoscere le dinamiche e le tecniche del cinema hollywoodiano e le declina perfettamente, trasformando la favela in uno scenario di guerra notturna. Se così la prima parte del film impegna l’attenzione dietro alle vicende diurne della corrotta polizia locale, in un botta e risposta tra scaramucce e vendette, la seconda parte coinvolge in una discesa agli inferi da cui sembra impossibile risalire.
Padilha non offre risposte, non concede il beneficio del dubbio né permette l’illusione della speranza. Il dramma c’è ed è ancora vivo. La soluzione invece non si manifesta nemmeno all’orizzonte. Ma il suo film lascia lo spettatore a pensare, a distribuire condanne e assoluzioni, a decidere chi abbia più colpe: per questo il suo è grande cinema.
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