Periodo d’oro per il cinema brasiliano!

L’anno in cui i miei genitori andarono in vacanza è un bellissimo piccolo film.

Il Brasile del 1970 è una terra di contrasti. Sottoposto già da sei anni (l’incubo iniziò con il colpo di stato del marzo 1964, che diede il via a 21 anni di dittatura, denominata Anni di piombo) ad un regime soffocante e pericoloso, accoglieva nel suo sterminato abbraccio un crogiuolo di razze ed etnie diverse (l’immensa comunità ebrea, gli italiani, i greci, gli immigrati arabi) che avevano una sola, grande fede in comune: il calcio.
Impossibile, d’altro canto, non perdere la voce dietro alle prodezze di Pelé, Carlos Alberto, Tostão, Gérson e Rivelino: la più grande nazionale che il paese avesse mai avuto, la quale si apprestava, proprio nell’estate di quell’anno e proprio sconfiggendo l’Italia, a vincere la sua terza coppa del mondo.

E’ in questa cornice che Cao Hamburger (nome che fa sorridere, occhio filmico che avvince) ci regala una delle più belle pellicole di Berlino 2007: “E’ un film sull’esilio – sui vari tipi di esilio – sulla scoperta della transitorietà della vita da parte del protagonista, che impara a conoscere gli altri e a sopravvivere in un mondo nuovo”.

L’anno in cui i miei genitori andarono in vacanza è la storia del dodicenne Mauro, che vive di Subbuteo e figurine dei calciatori. Un bel giorno, i suoi genitori lo portano dal nonno ebreo (Mòtel) che lui ricorda appena e gli dicono una frase chiave: “Se ti domandano dove siamo, rispondi che siamo andati in vacanza”. Un apertura così triste, con questo bellissimo bambino che si ritrova immediatamente solo e deve tuffarsi immediatamente in un mondo che sembra lontano anni luce da quello in cui è cresciuto

Il ruolo di Mòtel, la cui fine è descritta in un raffinato flashback, è interpretato da uno dei più grandi attori brasiliani viventi: Paulo Autran. Una leggenda del cinema brasiliano che – a metà degli anni ’50 – fondò un’importante compagnia teatrale insieme al nostro Adolfo Celi ed a Tônia Carrero), è il perfetto contraltare tematico per una narrazione tra le più piacevoli e gioiose degli ultimi anni, coronata da una partita di calcio amatoriale così coinvolgente da far tornare la memoria ai tempi di Mediterraneo.

Girato a Bom Retiro, quartiere molto speciale di São Paulo, questo è il secondo lungometraggio di Cao Hamburger (già apprezzato per le sue opere dedicate ai giovani e per alcuni validi cortometraggi) e rappresenta una sorta di romanzo di formazione che descrive il passaggio di Mauro (il bravo esordiente Michel Joelsas) dall’infanzia all’adolescenza.
Potrei, senza rivelarvi le scene più belle, definirlo – parafrasando una delle più belle canzoni del Liga – “Una vita da portiere”. Non a caso, il regista che, portiere, lo è stato davvero, sa il fatto suo.
Menzione d’onore per la fantastica esordiente Daniela Piepszyk che, a soli undici anni, interpreta Hanna (la prima donna nella vita di Mauro, dopo sua madre) con un’energia ed una solarità irresistibili.

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3Comments

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  1. 1
    mara23

    il film mi è piaciuto moltiximo!!!!!!!! è stato stupendoooooooooooooooo……………..

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