Come sempre avviene nei grandi capolavori della storia del cinema, il segno filmico rimanda ad una realtà altra, distante da ciò che ci sembra di percepire. Questa è un’ulteriore prova che l’ultimo lavoro del geniale Sokurov è un gioiello in cui è difficile rinvenire un neo. Apparentemente, siamo di fronte ad un racconto di famiglia e di guerra che ruota intorno alla carismatica figura di un’anziana donna russa, Alexandra (il regista si chiama Aleksandr e, nell’originale, il nome della signora è Aleksandra. Sarà semplicemente un caso o uno dei più grandi autori russi viventi ha deciso di osservare il proprio paese attraverso quelli di un suo alter ego femminile?), la quale decide di intraprendere un estenuante viaggio per andare a trovare il nipote, ufficiale in missione in Cecenia.

Rivelazione di Cannes 2007, questa pellicola affronta il tema del conflitto e dei rapporti umani con una franchezza talmente sconvolgente da rasentare l’epica. Lo sguardo della protagonista (la famosa soprano russa Galina Vishnevskaya) che, in un certo senso, incarna quello della Grande Madre Russia, la quale abbraccia ed ama i propri figli a prescindere dall’etnia, attraversa la durezza del conflitto (scoppiato con l’invasione russa della Cecenia, il primo dicembre 1994, per poi concludersi nel ’96 e scoppiare nuovamente nell’agosto 1999) con il candore cechoviano di chi troppo ha visto per potersi ancora stupire.

Le scene più belle sono, infatti, proprio quelle in cui la donna esce dal campo per recarsi in paese a fare la spesa (memorabile, a tale proposito, il tè a casa delle donne cecene, sulla carta acerrime nemiche della Russia e, quindi, del nipote di Alexandra) e, nello spazio di pochi giorni, diventa la beniamina dell’intera guarnigione, con i giovani soldati che – da pietre aguzze si trasformano in morbidi valletti, facendo di tutto per trascorrere qualche istante insieme a lei.

Tornando, però, alla doverosa premessa, bisogna sottolineare che il vero tema fondante di questo capolavoro è la musica. Il progetto nasce, infatti, dal profondo legame di stima che unisce Sokurov al suo compositore di fiducia, il talentoso Andrei Sigle che ha addirittura prodotto il film del maestro.

In conclusione, bisogna ammettere che, nonostante lo sguardo acuto del regista non scalfisca – intenzionalmente – il lato oscuro del potere sovietico (pur essendo perfettamente in grado di farlo, il che lo renderebbe maggiormente colpevole) che lo sostiene ed apprezza al punto da aver messo a disposizione (ogni giorno) dell’intera troupe un gruppo di veicoli blindati dell’esercito, per scortarli sul set in piena sicurezza, bisogna ricordare che Sokurov è figlio di militari ed è stato nei luoghi che ci mostra.
Il compromesso che ha portato alla realizzazione di questo gioiello è, quindi, ben poca cosa se lo si confronta con il valore del poter ammirare questo suo ultimo capolavoro sul grande schermo.

Oltrepassate, quindi, la miopia scandalosa che ne ha provocato l’uscita in dieci copie (siamo l’unico paese europeo in cui le pellicole dei grandi maestri internazionali ancora faticano a trovare spazio in sala!) e non perdetelo assolutamente. Ne sarà valsa la pena.

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