Clima apocalittico e atmosfere da horror, inseguimenti da grindhouse movie e scene pulp, mutilazioni stile splatter e autoironia da parodia di se stessi: in Doomsday c’è tutto e il contrario di tutto, per la gioia degli amanti del genere. Già, ma quale genere? Neil Marshall (The Descent) si diverte a mescolare e a confondere, alternando l’amore per la dovizia del dettaglio formale alla sconclusionatezza di una trama che volge sempre più verso la parodia ogni scena che passa. Ma non amare il suo Doomsday è davvero difficile.
Esteticamente impeccabile, curato nella fotografia e certosino nel ricorso sistematico all’effetto speciale splatter, il film esordisce con toni cupi da fine del mondo: la voce narrante ci ricorda che nel 2008 la Scozia è stata contaminata da un misterioso e letale virus, poi letteralmente blindata per evitare il contagio e infine abbandonata a se stessa. Nel 2038 a Londra rispunta l’oramai dimenticato virus e, assieme ad esso, le prove che in Scozia alcuni uomini siano sopravvissuti alla catastrofe, portando evidentemente dentro di sé il segreto per la cura del virus. Una squadra speciale, comandata dal maggiore Eden Sinclair (Rhona Mitra), ha 48 ore di tempo per prelevare uno dei superstiti scozzesi e portarlo a Londra.
L’arrivo della squadra in Scozia segna la svolta semiotica del film che, dal citazionismo verso i numerosi horror apocalittici (uno su tutti, 28 giorni dopo), si sposta verso il richiamo esplicito ai B-movie, mescolando Tarantino (la scena dell’inseguimento in auto ricorda tanto A prova di morte) a Resident Evil (la protagonista porta alla mente il personaggio di Milla Jovovic sia nelle fattezze che nel ruolo).
Se poi non bastasse a chi pensa che non di sola estetica viva il cinema, Marshall non dimentica che nella tradizione del buon horror c’è la critica sociale e, nella Glasgow semi-distrutta del 2038, c’è spazio solo per una comunità di punkabbestia assetati di sangue e vendetta, che riesce tuttavia a convivere senza un governo o delle leggi, in barba ai disordini cui il governo britannico sta invece costringendo la capitale inglese, per meri scopi di propaganda politica.
Prima del finale, che sancisce il trionfo di tale anarchia, c’è tempo per ammirare le partecipazioni di Bob Hoskins (pulito e semplice, ma sempre efficace) e di Malcolm McDowell (da sempre abbonato a ruoli da vero cattivo, che con l’età avanzata gli riescono ancora meglio), purtroppo relegati a ruoli di contorno.
Ma d’altronde Doomsday non vive delle prove attoriali, quanto della sua estetica, del suo umorismo e dell’autoironia che confonde lo spettatore, facendolo assistere a per lo meno due film contemporaneamente. Consigliato non solo ai cultori del genere, ma anche a chiunque cerchi finalmente un’alternativa briosa al tepore scadente dell’estate cinematografica.
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