Accumulare soldi per sbarcare un irraggiungibile lunario, pagare un tossico che, convolando a nozze, offre una cittadinanza occidentale per poi divorziare ed incassare il doppio sposando un extracomunitario pronto a pagare per accedere allo stesso paradiso perduto. Lorna non può amare, deve tirare dritto verso il suo piccolo orticello, custodire risorse senza indugiare su sentimenti pericolosi per i suoi sogni di integrazione.

I fratelli Dardenne scrivono e dirigono una sceneggiatura tagliente e coraggiosamente affettata, priva di soporiferi moralismi, di amplificazione di sentimenti, ricca di bivi da affrontare insieme all’azzeccatissima attrice. Arta Dobroshi è bella ma non scontata, a volte tenera più spesso glaciale, credibile nell’affrontare il dramma, misurata ed efficace nell’interiorizzare la follia e nel cavalcarla come unica via d’uscita da una valle dove non scorrono nemmeno le lacrime.

Tanti cani intorno ad un osso conducono la protagonista su una strada che le regala qualche sorriso ispessendo la sua corazza. Chi è discriminato ha necessariamente un cuore più duro ed anche se ha difficoltà nell’avvicinarsi all’altro ha comunque un grande bisogno d’amore. Lorna mette da parte denaro per costruirsi un futuro dove poter essere sensibile, dove potersi innamorare e sentirsi madre.

Il taglio asciutto della sceneggiatura viene saggiamente replicato nelle riprese, macchina a mano, accompagnamento di emozioni senza mai indugiare, dribblando le sottolineature e soffermandosi sui sinceri cambiamenti d’umore dei bravi attori. Con una freddezza che ricorda La promessa dell’assassino ed un’attrice che affascina e esce di senno come La sposa turca, i fratelli Dardenne girano un film notevole, socialmente ficcante, moralmente irriverente, apparentemente freddo, sostanzialmente ricco dell’amore che scema quando la strada verso inalienabili diritti si fa tortuosa e tempestata di trappole.

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