Il papà di Giovanna di Pupi Avati è una storia di ordinaria follia e di mediocrità, ma anche di immenso amore, ambientata nell’Italia fascista.
Silvio Orlando è un professore di liceo, un uomo triste con una moglie troppo bella che non l’ha mai amato e una figlia ritardata che, benché destinata ad essere un’infelice e una perdente, è la sua unica ragione di vita.
E quando questa figlia troppo amata ed assecondata scivolerà nel baratro dell’ossessione amorosa per un suo compagno di scuola, uccidendo brutalmente la sua migliore amica per gelosia, il padre non potrà che reagire facendosi cieco di fronte all’evidenza, e non potrà che ostinarsi a divenire ancora più complice e più protettivo nei confronti della sua disgraziata creatura.
Annullerà se stesso esiliandosi volontariamente da ogni altro legame, sopporterà il martirio quotidiano dell’essere segnato a dito dalla gente, patirà la stessa emarginazione e degradazione che patisce Giovanna, espiando una colpa che soffre come propria.
Ma infine giungerà il riscatto, attraverso la scoperta di una nuova dimensione dell’essere padre, attraverso l’accettazione e la condivisione della follia della figlia, e attraverso una nuova complicità fatta di gesti rituali e di un linguaggio solo loro, che li renderà in un certo qual modo immuni ed indifferenti ai crudeli meccanismi dell’esclusione sociale.
Sullo sfondo di questa vicenda c’è l’Italia fascista con i suoi colori, le sue canzoni, i suoi riti e i suoi miti; c’è l’ipocrisia e l’indifferenza borghese, ci sono la guerra, i bombardamenti, le macerie e le fucilazioni. Solo sullo sfondo però ed è un bene così, perché quando la Storia ha il sopravvento sulle vicende private è proprio lì che il film perde la sua bellezza, il suo tono sommesso ed intimista, per diventare banale, scontato e quasi stonato.
Belle le ambientazioni, grazie soprattutto alla grande cura con cui sono stati ricostruiti certi piccoli dettagli che rendono tutto il sapore di un’epoca, e sapiente anche l’uso dei colori (molto suggestivo in particolare l’intenso bi-cromatismo utilizzato nella scena del funerale) che sottolineano con la loro cupezza tutta la solitudine e il disagio dei personaggi, intrappolati in un’esistenza fatta di obblighi e convenzioni.
L’interpretazione di Silvio Orlando è magnifica, commovente e mai sopra le righe e Alba Rohrwacher, con la sua bellezza niente affatto scontata e il modo intenso in cui affronta le sfumature della follia, si conferma senza dubbio come il volto simbolo del nuovo cinema italiano.
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