Nessuno è perfetto, e scegliere Ozpetek per girare la storia della Mazzucco è sicuramente l’errore più evidente. Restituire la profondità di analisi dei personaggi, assecondare l’asciuttezza della storia, far crescere la tensione e mantenerla fino al doppio finale non era facile, ma il regista comincia a sbagliare dall’interpretazione del titolo, dalle parole che mette in bocca agli attori, dal piano sequenza iniziale che non porta a nulla, le riprese sporche nell’autobus, i primi piani da soap e la musica molesta che sottolinea qualsiasi sbalzo emotivo.
Non c’è ritmo in questo Un giorno perfetto, non sale la tensione, non ci si appassiona ai personaggi che sono raccontati in maniera superficiale e dei quali si fatica a comprendere le motivazioni che li conducono ad agire o a sperare stando fermi. Mentre la Mazzucco salta da una storia all’altra cercando insieme ai personaggi le ragioni che li portano a lasciarsi andare, Ozpetek li abbandona a loro stessi, soprattutto Mastandrea, costretto per tutto il film a rincorrere Jack Nicholson, perdendosi in un canneto che non è il labirinto di Shining, e ritrovandosi seduto a guardare la Ferrari salire per l’ultima volta prima di sprofondare nel nulla, occhi umidi e musica ridondante.
La Ferrari, fisicamente più in parte del partner, è sacrificata da una sceneggiatura e da immagini che non la fanno imporre come un’eroina votata consapevolmente al sacrificio, una madre coraggio pronta a credere a Babbo Natale nonostante le mazzate e gli occhi da flashato che l’ex marito continua a sbattergli in faccia. Il personaggio della Guerritore diventa donna e funge da scricchiolante spalla sulla quale la protagonista può piangere e ricordare, la Finocchiaro dà vita ad un’improbabile angelo metropolitano che ha contatti casuali, rispolverando tematiche sacre care al regista, mentre la Sandrelli beve e Binasco si vede costretto ad un pianto fastidioso che arriva da un personaggio che ha mostrato solo un lato della sua deprecabile figura.
Si salvano i bambini, che senza lasciare nulla di memorabile, portano a casa il compitino e non martellano attributi proponendosi in maniera naturale. Non sopravvive la sceneggiatura, lo spettatore che vorrebbe penetrare la trama e il lettore che vorrebbe ritrovare i personaggi dell’autrice.
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