Il musical degli ABBA da cui il film di Phyllida Lloyd è tratto è uno di quei prodotti inspiegabili e immortali, capace di ottenere successo anche alla millesima rappresentazione teatrale (ma per favore, non parliamo di classico! Di nessun genere). Così come inspiegabile è per certi versi l’“arte” del gruppo svedese. E – di riflesso – anche la più che discreta affermazione che il prodotto filmico ha ottenuto finora oltreoceano. D’altronde parliamo della classica opera che ha uno zoccolo duro di appassionati e su questo target punta. Astenersi tutti gli altri.

Semplicemente, per apprezzare questo Mamma mia!, occorre gradire il suo stile piacevolmente ridicolo ed esagerato, caratteristico della storia stessa e delle sue innumerevoli versioni: uno stile sopra le righe, che può far divertire i più, ma anche allontanare molti altri. Ma è la forza del film, che piaccia o no. O meglio: è la forza del film in tutto il suo esordio e per la prima metà: terminato di “esporre i fatti” e presentare plot e personaggi, la pellicola si arrovella su se stessa e annoia un po’. D’altronde, quando la carica di originalità finisce, di un film così non resta alcuna sostanza.

La stramba storia è nota ai più: una ragazza, confinata su un’isola greca assieme alla madre, è in procinto di sposarsi, ma non conosce l’identità del padre, per cui nessuno potrà accompagnarla all’altare. Venuta in possesso di un diario della madre ai tempi della giovinezza, scopre che tre uomini possono essere suo padre: li contatta tutti e tre e li invita sull’isola per il matrimonio, certa che al primo sguardo riconoscerà il suo genitore. Ma, nonostante i tre siano individui assai diversi fra loro (un uomo d’affari, un avventuriero e un banchiere), la sfida non si rivela affatto semplice.

Di mezzo, ovviamente, tutta la valanga di “indimenticabili” brani musicali degli ABBA, che il plotone di attori e attrici si prodiga a ballare, dimostrando volutamente e giustamente (negli obiettivi della regista) la scarsa familiarità con l’arte della danza. L’intento dovrebbe sortire un effetto ancora più comico, ma in realtà produce un risultato straniante, semi-ridicolo (che – si noti bene – non vuol dire divertente!): complici anche le scenografie non troppo ricercate, cosa che per un musical è un difetto non da poco. La Lloyd si affida esclusivamente al paesaggio mozzafiato dell’isola greca: una gioia per gli occhi, capace di distrarre piacevolmente quando il film comincia ad annoiare.

Impossibile infine non citare le prove attoriali, visto che il casting si è prodigato per scegliere il meglio fra i (disperati) disponibili su piazza: i tre uomini (Colin Firth, Pierce Brosnan e Stellan Skarsgård) e le loro impacciatissime movenze semi-ballerine sono l’elemento più ridicolo del film (scegliere se volontariamente o no, fuori ruolo o meno, può essere solo compito del singolo spettatore, in quanto pura questione di gusto); fa da contraltare ai tre la sempreverde Meryl Streep che, oltre a dimostrare quanto le donne ballino meglio degli uomini ad ogni età, dimostra di saperci fare, di avere fisico per certe cose e soprattutto di sapersi prendere in giro quel tanto che basta per far tutto e accettare ogni ruolo e ogni sfida anche alla sua età.

Complimenti a lei. Un po’ meno a tutto il resto del film. Musical solo per veri fan del genere e… degli ABBA!

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