Spike Lee sbarca in Italia con i suoi Buffalo soldiers in cerca di libertà, animato dal bisogno di restituire a Cesare quel che gli appartiene. L’ultima guerra giusta non l’hanno combattuta solo John Wayne e compagnia bianca. Molti fratelli neri sono morti in nome della libertà e degli interessi americani. Il regista scava e riporta alla luce una strage infame diluendola con umanità, religione e sprazzi di interrazziale fratellanza. Chiarisce tutto, troppo, gira oneste scene di guerra e si perde nei meandri di una vicenda che passa dalla politica alla storia, dalla rivendicazione al contatto dei corpi, in attesa di un paradiso che viene riconquistato in un finale più che lieto.
Gli ingredienti ci sono tutti, il cast italiano non sfigura a confronto con la professionalità d’oltreoceano, ciò che manca è però quel miracolo che solo a volte permette la fusione di due culture e la nascita di una terza via. Il bambino (Matteo Sciabordi), l’anima candida del film, se la cava, ma non è il Pinocchio di Comencini; la Cervi si scopre ma non è la Lollobrigida di Pane Amore e Fantasia; mentre Favino si immola per mano di Iago senza avere avuto abbastanza spazio e colore per mostrare il suo Otello.
L’umanità dei protagonisti non sale in superficie perché la vicenda non sconvolge, i fatti non favoriscono rivisitazioni della nostra mediata realtà, e l’aspetto surreale risulta eccessivamente didascalico e consolatorio. Manca la cattiveria del regista di Fai la cosa giusta, la capacità di strappare il velo di ipocrisia ed il bisogno di distruggere tutto per far germogliare sani dubbi nelle menti di astanti assuefatti a qualsiasi ingiustizia e tragedia. La polemica sui partigiani è strumentale, il traditore è smaccatamente fascista dalla prima inquadratura.
Miracolo a Sant’Anna scorre, non sembra lungo ma quando finisce si rimane con la sensazione che abbia portato acqua ad un mulino che gira su se stesso e che, senza un vento nuovo, difficilmente restituirà farina per impastare altri capolavori.
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