A volte è meglio tacere.
Quando le parole sono superflue e le canzoni scontate; le battute sono vecchie e gli attori sono morti; quando non si ha nulla da dire e si è costretti ad amplificare gli applausi per celebrare un successo teatrale che mostra, al cinema, tutti i suoi limiti. Il cinema/teatro italiano che osanna i tromboni è sempre pronto a farsi cassa di risonanza di scimmie che non riescono a dire una battuta senza prima sbucciare una banana e che non fanno ridere nemmeno quando ci scivolano fingendosi con i piedi per terra.

La mamma produce, il babbo intrattiene e canta ed il figlio, Brando De Sica, con Parlami di me spreca un’occasione per raccontare il teatro, piegandosi alle logiche commerciali e televisive vendendo fumo. Una regia televisiva per immortalare un one man show che se dal vivo può accattivare, al cinema non fa che invitare il pubblico a tenersi lontano dai teatri e dai vip che tornano sul palcoscenico per misurare la propria intramontabile popolarità. Neanche il montaggio riesce a dare ritmo ad un testo che salta di palo in frasca per dare ad ogni protagonista la possibilità di mostrarsi per ciò che non è.

L’abolizione dell’Ici fa saltare anche l’ultima battuta del film, che si chiude con la produttrice, madre del regista, che comunica al marito che bisogna pagare la tassa, per riportarlo sulla terra dopo gli applausi, o per ricordargli che la sua casa non è il teatro.

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