Bene, male e sfumature. Poliziotti corrotti, bravi ragazzi, uomini in bilico e spietati assassini pronti a mettere sul mercato vita, onore e famiglia.
Gavin O’Connor dirige un cast stellare senza andare oltre il film patinato di riflessione sulle derive dell’immoralità, il vizio che pervade la nostra società e l’occasione che la vita dà a tutti, anche ai peggiori, di essere folgorati sulla via di Damasco. Mentre la cattiveria procede a pistole spianate, i giusti si ritirano nella loro instabilità, disposti a tornare in strada solo quando stretti colleghi vengono barbaramente trucidati.

E’ Edward Norton, come sempre puntuale all’appuntamento con la macchina da presa, a guidare la banda degli onesti fino a ritrovarsi il virus che tenta di debellare, nella sua stessa casa. I quattro poliziotti, padre, due figli e un cognato, sono costretti a rivedere i loro principi, scavare nel loro orgoglio per ritrovare almeno un briciolo di vana gloria.

Tra la violenza e le sparatorie già viste, che non sopravvivono al ritmo delle palpebre, una scena suscita ilarità ed orrore, quella nella quale Farrell minaccia di stirare, con il ferro, il bambino di un impunito malavitoso che non vuole rivelargli dov’è l’amico che deve essere giustiziato. Per il resto la buona interpretazione degli attori non sopperisce alla mancanza di coraggio e di idee del regista sceneggiatore.

L’America continua ad interrogarsi sul cancro che divora la sua società, talmente indagato al cinema, da non sorprendere più nella realtà. Lo sviluppo lineare, le sottolineature psicologiche, i rallentamenti dell’azione operati per mostrare le pieghe dei dubbi e le voragini lasciate dalla mancanza di rettitudine, fanno di Pride and Glory l’ennesimo pacco ben confezionato che invece di scuotere ed indurre una reazione, non fa che rassicurare che tutto cambia senza che niente muti. La famiglia fatta a pezzi ritrova l’onore sacrificando le sue mele marce per poter alleggerire la propria coscienza e continuare a vivere nell’illusione.

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