Che i governanti dei paesi di tutto il mondo, in generale, non mantengano le promesse fatte, non farebbe di per sé notizia. Ma il caso evidenziato dal film 8, presentato con successo al Festival del Film di Roma in corso questi giorni nella capitale, è assai più complesso ed investe temi di portata vitale per il pianeta e per chi lo abita. Si tratta infatti dell’implementazione degli Otto obiettivi di Sviluppo del Millennio che i circa 190 paesi membri delle Nazioni Unite – riuniti a tale scopo nel settembre del 2000 – hanno individuato per dimezzare la povertà mondiale, impegnandosi a realizzarli pienamente entro il 2015.
Ma appare già chiaro, ai movimenti pacifisti ed all’opinione pubblica, che tale impegno è ben lontano non soltanto dall’essere raggiunto ma anche dall’essere concretamente perseguito. Ecco allora la richiesta rivolta ad 8 grandi registi dai coraggiosi produttori, rimasti indipendenti nonostante alcune pressioni da parte delle Nazioni Unite, di focalizzare l’attenzione e la macchina da presa sugli 8 obiettivi, uno per ciascuno, con totale libertà di realizzazione.
“Sono state stabilite alcune regole da rispettare – affermano i produttori – come ad esempio che il 50% dei proventi del film siano utilizzati per attività legate agli 8 obiettivi e che il film sia dato in visione anche per ragioni non-commerciali, per il resto i registi hanno avuto carta bianca. Le Nazioni Unite ci hanno chiesto di ritirare il loro logo perché temevano che alcuni episodi del film potessero offendere l’Islam, ma noi abbiamo creduto nella libertà di espressione dei registi, che hanno dato ciascuno la propria soggettiva visione delle cose”.
Il risultato è davvero interessante e rispecchia la cifra stilistica per la quale gli 8 big directors aderenti al progetto sono diventati famosi nel mondo. Vediamoli nel dettaglio.
Abderahamane Sissako ha lavorato sul primo obiettivo: Eliminare la povertà estrema e la fame, realizzando l’episodio Tiya’s dream, girato in Etiopia in una scuola di campagna; il secondo obiettivo, Raggiungere l’istruzione elementare universale, è toccato in sorte all’attore – qui nei panni insoliti di regista! – Gael Garcia Bernal, che si è trovato a dirigerlo in Islanda: in The letter un padre descrive al figlio, in una giornata apparentemente normale, l’importanza ed il potere dell’istruzione.
La vitalissima regista indiana Mira Nair ha invece trattato il terzo obiettivo, Promuovere l’uguaglianza fra i sessi e conferire potere e responsabilità alle donne, in un episodio, dal titolo How can it be?, che ha suscitato critiche e dibattiti: si racconta infatti la storia vera di una donna di religione musulmana – da qui la scandalizzata reazione di alcuni – che lascia la famiglia (marito e figlio), pur con grande sofferenza, per andare incontro ad un destino incerto con l’uomo che ama.
Diminuire la mortalità infantile, il quarto obiettivo, è stato affidato a Gus Van Sant ed alle immagini di un gruppo di giovani appassionati di skateboard, che fra un’evoluzione e l’altra ricordano le spaventose attualissime cifre della mortalità infantile. Un episodio fra i più toccanti è certamente quello girato da Jan Kounen sul quinto obiettivo, Migliorare la salute materna: nella foresta amazzonica una giovanissima donna incinta, Panshin Beka, lotta fra la vita e la morte, per complicazioni al momento del parto, tentando di raggiungere in canoa il più vicino paese dotato di supporto medico, ma il carburante è troppo costoso.
Il sesto obiettivo, Combattere l’HIV/AIDS, la malaria ed altre malattie è affrontato con grande realismo dal regista Gaspar Noe nell’episodio SIDA, che mette in primo piano il corpo, le parole e la toccante storia di un uomo del Burkina Faso che ha contratto l’HIV e la malaria ed è tenuto in cura presso un ospedale locale. Alla grande regista australiana Jane Campion era affidato uno fra i più discussi obiettivi del millennio, Assicurare la sostenibilità ambientale: è l’episodio più poetico, anche se girato in modo estremamente asciutto e con la consueta fotografia cristallina; in The water diary viene ritratta la vita di un gruppo di bambini durante una terribile siccità (presagio futuristico o realtà in attuazione?) che ha colpito le zone più desertiche dell’Australia: Ziggy, una bambina amante dei cavalli, scrive il suo diario, riempiendo barattoli di lacrime, mentre la più giovane violinista del paese improvvisa un concerto pro-pioggia.
Infine, a coronamento di tutto, l’ottavo obiettivo, Sviluppare una collaborazione globale per lo sviluppo: qui l’originale maestro Wim Wenders orchestra un episodio, dal titolo Person to person, in bilico fra sogno e realtà. Durante il G8, tenutosi in Germania nel 2007, un gruppo di cinici operatori televisivi cerca riprese accattivanti per il pubblico mentre i manifestanti vengono aggrediti dalla sicurezza: saranno le immagini stesse ad uscire dalle telecamere ed a farsi sentire. Oggi la soluzione alla povertà può essere il micro-credito, unito alla solidarietà fra persone. “Non volevo concludere il film con un episodio deprimente – ha affermato Wenders – perciò ho scelto di parlare del micro-credito, che nel mondo ha riscosso enorme successo e dato ottimi risultati, soprattutto grazie alle donne: tutti sanno che non saranno i paesi ricchi, ancora una volta, a pagare il conto della crisi economica in atto in questi mesi: la soluzione è nelle mani dei governi e noi dobbiamo fare pressione su di loro perché mantengano le promesse fatte”.
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