La presenza di un nuovo James Bond, dopo la sequela di non esaltanti pellicole con Pierce Brosnan, unita all’uscita di quello che è stato uno dei migliori film della serie, ossia Casino Royale, aveva dato nuovo respiro ad una saga oramai onestamente asfittica, che sembrava essersi lasciata definitivamente alle spalle i suoi tempi migliori. Ci pensa Quantum of Solace a far rifare due passi indietro a 007, ricollocando le sue storie tra le pellicole mediocri del genere d’azione, più che di quello spionistico. A dimostrazione che a fare la fortuna del precedente film è stata la storia ben congegnata, non certo il suo assurdo attore protagonista.
Senza nulla togliere alla sua bravura attoriale, ma è proprio in questa pellicola che emerge l’inconsistenza di Daniel Craig nel ruolo che fu di uomini di classe (esteriore) come Sean Connery, Roger Moore e lo stesso Brosnan: il Bond più coatto e improbabile della storia, quello che per la prima volta non si presenta con la celeberrima battuta, quello che non beve più Vodka Martini ma si concede alle lusinghe della Coca-Cola (!), piace tanto al suo pubblico proprio perché abbandona il suo stile, la sua perfezione altezzosa, il suo charme, il suo livello, il savoir-faire con le donne, per rifugiarsi nella semplice azione dura e pura. E al diavolo la Bond-Girl di turno. Semplicemente assurdo? No, il popolino dei reality show comincia a riconoscersi e il successo planetario è garantito, a scapito del ruolo dell’icona. È finita l’era dei sogni hollywoodiani, ora occorre identificarsi anche con la spia più finta della storia.
La stampa britannica (e americana) ha definito giustamente Quantum of Solace più adatto a una puntata della saga di Bourne che a quella di 007. Niente da eccepire: ne sarà felice Matt Damon, che non molto tempo fa sbandierava il suo eroe smemorato come il nuovo Bond. Tutti ne risero: ora forse non più. D’altronde cosa aspettarsi di più dalla faccia da malvivente russo in giacca e cravatta di Daniel Craig se non una scena d’azione dopo l’altra?
Si comincia in Italia, sul Lago di Garda. In un battibaleno si passa da Limone a Siena: potere del cinema (o dell’ignoranza, fate voi…). Poi comincia a ripetersi lo schema fisso del film: 10 minuti di scena d’azione ai limiti del surreale, incontro con dialogo “chiarificatore” (si fa per dire) su un paio di dettagli di trama, arrivo della Bond-Girl dalle lunghe gambe (la russa Olga Kurylenko), nuova scazzottata/inseguimento. Gran spessore, non c’è che dire… E il tutto va avanti davvero per l’intera ora e mezza del film, senza che alla geniale mente dello sceneggiatore Paul Haggis sovvenga l’utilità di chiarire cosa sia il Quantum o magari il Solace! Si esce dalla sala avendo sentito nominare il primo un paio di volte e nemmeno una il secondo. Sarà forse una tecnica per far vendere il romanzo di Ian Fleming? Almeno lì sarà scritto, forse.
Eppure dal regista di Monster’s Ball, Neverland e Vero come la finzione ci si poteva aspettare di più. Ma d’altronde la colpa non è di Marc Forster: lui le scene d’azione dimostra di saperle girare e quello è il suo unico compito, in fondo. Il resto lo vuole il marketing della produzione, che detta le regole del Bond del nuovo millennio, rivolgendosi a individui privi di gusto, fascino e stile. Quantum of Solace è una coattata pazzesca? Sarà un successo planetario!
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