Juan Antonio Bayona dirige, ma Guillermo del Toro produce e soprattutto ispira. E i risultati si vedono: The Orphanage è figlio dell’approccio tematico e delle atmosfere horror alla Il labirinto del fauno (pur mancando l’elemento fantasy), nonché pure dei thriller stile Il sesto senso. Ma sebbene non brilli per originalità, rimane un ottimo lavoro, splendidamente girato da una mano non esperta, ma già sapiente nell’instillare vero terrore e tensione con accorti movimenti di macchina.
La storia e gli espedienti per narrarla in tono col genere sono – come detto – tanto già visti da poter fungere da categoria a sé: si va dall’ambientazione nell’orfanotrofio alle storie di bambini sfortunati e maltrattati, dai fantasmi ai medium, passando per le metafore con Peter Pan e finendo con l’amore filiale che accetta una rassicurante menzogna piuttosto che una sofferta verità.
Protagonista assoluta è Laura (Belen Rueda), moglie e madre di un bambino malato di HIV, adottato presso un orfanotrofio esattamente come accadde a lei. Ora lei e il marito sono tornati a vivere proprio in quell’ormai ex-orfanotrofio, decisi a riaprirlo per ospitare bambini disabili. Proprio in concomitanza con l’inaugurazione, suo figlio – che da giorni dice di parlare costantemente con amici immaginari –scompare misteriosamente. Indagando sulla figura di una donna che si era presentata presso la casa, spacciandosi per assistente sociale, Laura porterà avanti da sola la ricerca, imbattendosi nelle ombre inquietanti del passato di chi abitò quella struttura.
Se ciò che colpisce del film è la sapienza con cui è girato, la capacità di Bayona di coinvolgere emotivamente, di tenere col fiato sospeso e di accrescere a dismisura la tensione nelle scene chiave (quella dell’“un-due-tre-stella” tra la donna e i bambini è emblematica e agghiacciante), lo stesso elogio non si può estendere ad una sceneggiatura piena di piccoli buchi, di mancati nessi logici, di lievi sconnessioni che rendono la comprensione a tratti meno fluida del normale. Un difetto troppo evidente e ripetuto per non far pensare che in fase di montaggio si sia sfoltita e di molto la pellicola, per ridurne la durata. Il ritmo e la tensione ne giovano sicuramente, la comprensione un po’ meno. Ma pur sempre di thriller soprannaturale si tratta, per cui il difetto è perdonabile.
In definitiva, un film di spessore tecnico notevole, dalle atmosfere perfette (una lode alla fotografia), dalla storia accattivante e dalla tematica spinosa, affrontata e risolta non banalmente. Il finale potrà apparire inutilmente riconciliante, è invece – al contrario – una resa drammatica di fronte alla forza del più potente dei sentimenti, capace di illuderci mostrandoci una realtà diversa, piuttosto che ferirci mettendo a nudo la cruda e insopportabile realtà.
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