Arriva anche nei nostri cinema, con un colpevole ritardo di ben due anni, l’opera di Oded Davidoff tratta dal romanzo di David Grossman. Qualcuno con cui correre è un film discretamente girato, piuttosto coinvolgente e persino dai toni originali, ma lamenta le pecche di una trasposizione dal libro alla pellicola a tratti “distratta” e troppo lacunosa.
Eppure proprio l’elemento tecnico – sceneggiatura in primis – prevale per grossa parte della narrazione, fino a costituire il vanto del film. Davidoff parte spostando l’attenzione dalla situazione sociale (che traspare nel romanzo di Grossman) all’azione che lui maneggia con l’arte tipica del regista di corti: il protagonista corre per i vicoli di Gerusalemme e lui utilizza la camera a braccio e una fotografia priva dei consueti filtri, in stile cinema-verità, a mo’ di ripresa 8 mm. Così si fa la conoscenza del protagonista, un ragazzo che si guadagna da vivere riportando a casa i cani smarriti o abbandonati. Si fa prendere la mano dalla sua missione e si mette sulle tracce di una ragazzina scomparsa.
È qui che la sceneggiatura comincia ad alternare curiosamente e originalmente la propria attenzione tra la storia del ragazzo e quella dell’altra protagonista: anche lei è sulle tracce di qualcuno, ma lo scopriremo solo più tardi. Giusto il tempo di vederla vagabondare per Gerusalemme col suo cane e la sua chitarra, prima di finire tra le grinfie di una gang che sfrutta i ragazzi di strada per guadagnare sulle loro capacità artistiche e per spacciare droga.
La storia oscilla quindi tra la ricerca del primo protagonista, ambientata nel presente, e quella della ragazzina, ambientata in un momento precedente. Due fatti paralleli, che quasi miracolosamente – potere della scrittura cinematografica – finiscono per incrociarsi, quasi che una delle due storie procedesse al ritroso. Onore al merito di tanta originalità stilistica o più che altro alla capacità di rendere su pellicola una vicenda chiaramente figlia di un’opera letteraria. Ma è proprio tra i mille trabocchetti di un’operazione così delicata che la sceneggiatura finisce per perdersi, tra ellissi date troppo spesso per scontate e piccoli/grandi buchi logici che minano lo scorrimento e la comprensione del film.
Interessante la parte centrale dell’opera, dedicata alle vicissitudini delle ragazza e allo sfruttamento dei giovani da parte dell’organizzazione; coinvolgente il sapiente alternarsi fra azione e riflessione; affascinanti tutti i personaggi principali, interpretati da ottimi giovani attori. Meno comprensibile invece la facilità con cui l’opera vira su una seconda parte da filmetto sentimentale per giovani, tralasciando del tutto la questione “politica”; così come imperdonabile – nella versione nostrana – è la scelta di un doppiaggio imbarazzante, dove non una sola voce appare al suo posto (o… adatta al viso mostrato).
Ma forse parliamo di sofismi per i palati più delicati: il grande pubblico (ammesso che ad un film comunque di nicchia come questo venga data una certa eco) ne apprezzerà le doti romantiche e la freschezza della storia, senza dimenticare alcuni preziosismi stilistici che in sostanza rendono quella di Davidoff una pellicola comunque assolutamente consigliabile.
great film