Pur partendo da un impianto molto classico ed apparentemente prevedibile, questo bel lungometraggio diretto dal cineasta Edoardo Winspeare (benché il suo cognome tradisca lontane origini inglesi, si tratta di un regista italianissimo, salentino per la precisione) avvince poco a poco lo spettatore giocando con sapienza i suoi atout, tutti (o quasi) “calati” al momento giusto.

Innanzitutto la geniale scelta degli sceneggiatori di attribuire ad una donna, Lucia, il personaggio/ruolo di capobanda mafioso della Sacra Corona Unita, l’organizzazione criminale radicata nel Salento che negli anni Novanta (in cui il film ambientato) raggiunge l’apice della sua potenza. “Ho fatto lezione di cinema in carcere ed ho conosciuto donne “tostissime” – afferma Winspeare – mi sono chiesto spesso se le donne coinvolte a questi livelli nella criminalità organizzata abbiano perso la propria femminilità, se si siano dovute “mascolinizzare” per farsi rispettare: la risposta è necessariamente nella contraddizione, nel conflitto, ed ho cercato di rendere quest’idea costruendo un personaggio come quello di Lucia, costretta a vivere un destino di ambiguità”.

Altra carta vincente del film è l’uso del flash-back, talvolta un po’ eccessivo ma sempre di estremo gusto: Lucia, Fabio e Ignazio, negli anni Sessanta, erano tre bambini, amici inseparabili, che scorrazzavano liberi nelle calde ed opulenti estati salentine. Lucia e Fabio, di estrazione sociale non abbiente, si perdono col tempo dietro allo spaccio di droga ed alla malavita locale; Ignazio, figlio di “signori”, si trasferisce a Milano e diventa magistrato. Sarà proprio lui, da sempre innamorato di Lucia, a dover indagare sui traffici illeciti di armi e droga tra il Salento ed il Montenegro ed a scoprire, con crescente disperazione, la verità su Lucia.

“Nel titolo del film ho voluto evocare una terra di galantuomini – aggiunge il regista – un mondo dove la linea di demarcazione tra bene e male era più netta. I galantuomini sono persone che si comportano onestamente, magari conformisti, come la borghesia dei professionisti, a cui appartiene Ignazio. Quando torna a Lecce da Milano, il nostro giudice non trova più l’isola felice che conosceva, né le persone come le ha lasciate. Ma l’amore per Lucia farà perdere ad Ignazio, momentaneamente, la sua identità, annebbiando il mondo della legge cui appartiene.”

E’ proprio nell’adeguato bilanciamento dell’eterno dilemma tra integrità e sentimento, giustizia, colpa e passione che risiede il nucleo centrale del film. A parte qualche scena melò di troppo nel finale, che ha però il chiaro scopo di sciogliere l’attesa di un incontro d’amore a lungo vagheggiato, che sortisce un effetto liberatorio nei protagonisti come nello spettatore. Ultimo atout da menzionare, forse il più importante: la scelta di un cast d’eccezione, a cominciare da Donatella Finocchiaro nella splendida interpretazione di Lucia (che le è valsa il premio Marc’Aurelio per la miglior interpretazione femminile tra i film in concorso al Festival del Film di Roma, dove Galantuomini è stato presentato fra le Anteprime), passando a Fabrizio Gifuni, nei panni credibilissimi di Ignazio, e finendo con Giorgio Colangeli, nel ruolo del boss anziano Carmine Zà.

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