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Nell’immancabile appuntamento annuale con la rappresentazione della Shoah al cinema questo Natale si inserisce anche la Disney, con la sua versione del dramma vista dall’ottica di un bambino (ovviamente), figlio di un gerarca nazista. L’approccio è favolistico quel tanto che basta per edulcorare certi aspetti della storia e allo stesso tempo crudo abbastanza per ricordare che pur sempre di realtà si tratta. Il paragone con La vita è bella balza subito alla mente, ma le similitudini si fermano all’età del protagonista: Il bambino con il pigiama a righe è tanto più drammatico, quanto molto meno incisivo. Paradossi degli approcci formali.

In realtà, nel dramma di Mark Herman, che si prende un po’ troppe licenze per non essere subito identificato con un film Disney, l’unico protagonista vero, credibile e interessante è quello della moglie del gerarca, nonché madre del bambino: interpretato dalla classica attrice da ruolo tormentato e tragico, un’ottima Vera Farmiga, il personaggio è uno specchio della situazione della donna (e della madre) in una società patriarcale e militarizzata come quella nazista. Unico personaggio con il coraggio – se non di gridare – per lo meno di sussurrare che il re è nudo, la donna è cosciente di dover recitare una parte, di dover fingere di non vedere, di dover persino sacrificare il futuro dei propri figli: l’unica volta in cui riuscirà a spuntarla sarà perché anche il marito avrà aperto gli occhi.

Il resto del film è favola “simpatica” nei suoi aspetti più originali, ma troppo stile Disney per apparire verosimile: trasferitisi nei pressi di un campo di concentramento alle soglie della fine del conflitto, un gerarca nazista, sua moglie e i loro due figli di 8 e 12 anni dovranno sperimentare le difficoltà di una vita vissuta a due passi dall’orrore, facendo finta che non esista. Il più piccolo in particolare, classico volto dell’innocenza infantile, troverà tutto troppo strano, pur credendo alla valanga di bugie che i genitori sono costretti a fargli sorbire. Guidato dalla curiosità e dalla noia, si addentrerà nel bosco adiacente alla casa, fino ai confini del campo, dove farà amicizia con uno dei bambini imprigionati.

Al di là della classica morale sulla purezza del pensiero infantile, sulla capacità dei bambini di spogliare la durezza del reale dalle sue sovrastrutture per mostrarci quanto simili siamo gli uni agli altri, rimane un meccanismo oliato e prevedibile da film per le proiezioni scolastiche. Fa il suo effetto e devia dai binari classici il finale drammatico e potente, che chiude il film quasi improvvisamente, con una sferzata che rimane nel cuore all’uscita dalla sala. Quella di Herman è comunque una pellicola dedicata ai più giovani, tanto agli adolescenti, quanto ai bambini: a loro spetta il vero giudizio, visto che l’approccio scelto permette una volta tanto di consigliare vivamente la visione di un’opera su questo tema a tutta la famiglia.

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