Raffinata, graffiante commedia di “costume” dagli arguti dialoghi, Easy Virtue (in Italia Un matrimonio all’inglese), già presentato in anteprima al Festival Internazionale del Film di Roma, è un piccolo film pressoché perfetto, per l’equilibrio degli elementi, l’interpretazione degli attori (straordinarie le due protagoniste in conflitto, umano ed epocale, Jessica Biel e Kristin Scott Thomas) e la contemporaneità della proposta sociale e letteraria.
Il regista australiano Stephan Elliott, noto per il trasgressivo Priscilla, la regina del deserto, cerca nuove strade per il suo occhio anticonvenzionale e sceglie l’adattamento di una commedia di Noel Coward ambientata nell’Inghilterra degli anni Venti, già sfruttata dal giovane Alfred Hitchcock per un film poco noto.
Larita, una bellissima americana, campionessa di corse in automobile, incontra e sposa – complice la Provenza, luogo della sua ultima vittoria sportiva – un dandy inglese più giovane di lei, John Whittaker (interpretato dal naïve Ben Barnes), unico rampollo maschio di una famiglia tradizionalista, bigotta e decadente, che s’innamora perdutamente di lei e della sua prorompente personalità. Spregiudicata, intelligente, indipendente, Larita è ben disposta a farsi accettare dalla famiglia di John, e ce la mette tutta durante il loro primo soggiorno presso la stupenda tenuta Whittaker, nella brumosa campagna inglese.
Ma i nodi fra due mondi e due mentalità, lontani fra loro anni luce, verranno al pettine non appena Larita si troverà face to face con l’ostile madre di John, Mrs. Whittaker, disposta a tutto per tenersi stretto il figlio, da lei manipolato abilmente con il continuo richiamo ai suoi presunti doveri, insieme alle due intorpidite sorelle ed al padre (un insondabile Colin Firth), l’eccentrico Mr. Whittaker, segnato indelebilmente dal marchio della prima guerra, unico ad apprezzare le virtù della bella americana.
Incentrato sulla dialettica tra libertà/libertinaggio/indipendenza, caratteristiche qui attribuite al Nuovo Mondo, e conservatorismo/inibizione/apparenze, di cui trasuda invece il Vecchio Continente, nella fattispecie l’Inghilterra, il film si muove agilmente fra la cifra umoristico-grottesca, il dramma, la commedia, il paradosso, senza perdere mai il ritmo incalzante che lo conduce verso l’inevitabile conclusione. La cura psicologica dei protagonisti e lo studio delle delicate relazioni fra i diversi personaggi offrono un considerevole valore aggiunto all’opera.
“Inizialmente non volevo fare un film d’ “epoca” – dice Elliott – ma leggendo la trama sono stato catturato da quel senso di ribellione che è presente in tutta la pièce di Coward, e dalla situazione in cui una donna moderna come Larita si viene a trovare, rischiando a poco a poco di impazzire. Così ho cercato di lavorare sulla modernità delle voci, facendo utilizzare agli attori un tono più naturale possibile, sui colori degli abiti e su una colonna sonora che creasse un contrasto”.
Per gli appassionati di location, va segnalato che nel film sono state utilizzate tre stupende dimore inglesi, ciascuna delle quali riflette aspetti della vita dell’upper middle class inglese del tempo: Flintham Hall nel Nottinghamshire, per gli esterni, Englefield Hall nel Berkshire, per alcune scene d’interni in casa Whittaker, e Wimpole Hall nel Cambridgeshire, la casa dei ricchi vicini, gli Hurst, usata per filmare le scene relative alla caccia alla volpe.
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