Uno dei film più attesi del 2009, un sicuro protagonista della prossima notte degli Oscar, è un vero capolavoro, uno di quei film da non perdere per nulla al mondo, un’opera di uno spessore tematico tale come non se ne vedevano da mesi al cinema. In questi casi ci sarebbe poco da aggiungere, se non un semplice invito a volare in sala il prima possibile. Ma tanti sono gli aspetti positivi di una pellicola coinvolgente e pronta a far pensare e perché no – cosa assai rara – anche discutere.
A cominciare dal ruolo fondamentale che giocano i due attori protagonisti, Meryl Streep e Philip Seymour Hoffman. Tenuto conto dell’origine teatrale del film, tratto da una pièce dello stesso John Patrick Shanley, che anche qui scrive e dirige, è evidente che il compito sulle spalle della coppia di interpreti è gravoso e fondamentale: se Il dubbio rappresenta infatti un’opera memorabile lo si deve per il 70% a loro due. L’impianto per l’appunto chiaramente teatrale della sceneggiatura li costringe ad una serie di dialoghi memorabili, ad un confronto da titani della recitazione, a scambi verbali e mimici da manuale di storia del cinema. Difficile dire chi è più grande: Hoffman sembra sempre più tagliato per i ruoli drammatici da Oscar, che esaltano la sua espressività facciale; la Streep dimostra ancora una volta una duttilità incredibile, che la rende forse l’attrice più dotata della sua generazione (solo pochi mesi fa la vedevamo ballare e cantare nel ben più leggero Mamma Mia!) e probabilmente è proprio lei la migliore dei due.
A lei spetta interpretare una monaca bigotta che gestisce una scuola cattolica del Bronx (siamo nel 1964), tra suore anziane da tutelare, sorelle più giovani da “svezzare” e ragazzini da educare con poca carota e molto bastone. Attorno ai ragazzi ruota anche padre Flynn (Hoffman, appunto), sospettato di nutrire interessi morbosi nei confronti di uno dei bambini dell’istituto. Il dubbio, per l’appunto, come il pettegolezzo, può fare tante vittime, può far emergere verità scomode e inconfessabili e ferire senza che ve ne sia bisogno. La suora è intenzionata a vederci chiaro: ma il dubbio in quanto tale continuerà a coprire con il suo velo la natura profonda della realtà.
In questo dualismo dei ruoli principali, in questo inconciliabile e non disvelabile mistero, in questa tematica tanto attuale sta tutta la complessità di un’opera che, dal titolo in poi, non intende dare risposte ma solo porre domande, che fa interrogare lo spettatore sull’utilità e sulla liceità del sospetto e lo costringe a riflettere e ad esaminare la propria coscienza ben oltre la durata dei titoli di coda.
Impossibile non citare in conclusione la prova fugace ma intensa della brava Viola Davis, nel ruolo della madre del ragazzino: pochi minuti per sfaccettare alla perfezione un personaggio potente e travagliato, una di quelle apparizioni da pugno allo stomaco.
Poche volte abbiamo assistito a trasposizioni cinematografiche di lavori teatrali che, pur tradendo chiaramente e volutamente la loro origine da palcoscenico, sapessero coinvolgere così intensamente, facendo dimenticare i limiti di una sceneggiatura statica e ritmata da soli dialoghi. Solo i capolavori ci riescono. E Il dubbio rientra a pieno titolo fra di essi.
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