frostnixon

Ron Howard – bisogna ammetterlo – non sarà l’autore da libro di storia del cinema, ma non sbaglia una mossa: sia quando i suoi film sono semplici macchine da soldi (vedasi Il Codice da Vinci), sia quando tenta la strada del genere impegnato (si veda Cinderella Man, ma anche A Beautiful Mind). Questa volta però non siamo di fronte solo ad un film discreto e godibile, ma ad un ottimo lavoro, capace di raccontare un pezzo di storia (dell’America, della stampa, della politica) da un’ottica inusuale e lasciando percepire nettamente l’enorme portata dei fatti narrati.

Eppure l’esordio e tutta la prima ora di Frost/Nixon non lasciano presagire lo spessore dell’opera che si ha di fronte: per troppo tempo sembra di assistere solo ad una pellicola più che discreta, che scorre via tranquilla ma senza grossi fremiti o colpi di genio. Poi il registro cambia d’improvviso, la sceneggiatura fa il salto di qualità, la storia punta finalmente al nocciolo (è il momento cruciale dell’intervista) e gli ultimi 45 minuti sono un vero monumento, la sintesi del film, l’apoteosi del confronto attoriale, l’esaltazione della potenza della stampa, il ritratto impietoso di un uomo – l’ex presidente Nixon – incapace o forse solo stanco di continuare a recitare un ruolo che lui stesso nel profondo sente di ripugnare.

Non potendo dedicare l’intero film alla sola intervista (ma dove sta scritto, in fondo? E’ solo la classica concessione allo spettacolo hollywoodiano e qui riemerge l’anima commerciale di Howard), la sceneggiatura dispiega quasi un’ora in preamboli volti a costruire il background del meno noto dei due protagonisti, il giornalista britannico – o meglio, lo showman – David Frost, il classico tipo che cerca il punto di svolta della carriera e rischia tutto sapendo di non poter perdere molto. Con lui il suo staff, 3 personaggi che faranno “il lavoro sporco”, creando lo scheletro della famosa intervista che mise in ginocchio Nixon, costringendolo ad ammettere le sue dirette responsabilità nello scandalo Watergate.

Il problema è che tale preambolo risulta assai poco attraente (un po’ come il suo protagonista, in fondo) e si attende di vedere i due nel confronto faccia a faccia. Quando ciò accade il film cambia marcia, riscalda i motori nelle prime 3 fasi dell’intervista, giocando il meglio del meglio nell’ultima parte, dedicata all’argomento più caldo. Convince poco invece la scelta di alternare al racconto filmico vero e proprio degli inserti fugaci e spesso casuali in stile mockumentary, con finte interviste “odierne” ai protagonisti del tempo: sinceramente non se ne capisce l’utilità, se non quella di creare un complesso gioco metacinematografico, che rimandi da un’intervista ad un’altra, dalla finzione alla realtà. Interessante – non c’è che dire – ma l’idea avrebbe allora meritato più convinzione e maggiore spazio.

Lo spazio viene invece per fortuna tutto riservato ai due attori protagonisti, che impreziosiscono il film col loro duello fisico e verbale: se Michael Sheen (non nuovo a questo tipo di prove, visto che fu il Tony Blair di The Queen) non sfigura ma rimane abbastanza dentro le righe, l’interpretazione di Frank Langella aka Richard Nixon è sontuosa, ancora più della perfetta immedesimazione fisica che lo fa assomigliare tremendamente al presidente. I suoi balbettii, le sue impercettibili ma significative espressioni, la scena della telefonata notturna, il tono della voce (a tale riguardo consigliamo a chiunque possa di godersi il film esclusivamente in lingua originale!) sono il valore aggiunto del film e forse ciò che rende la parte finale un vero capolavoro.

In conclusione, di fronte a film come questo (si ricordi sullo stesso tema il celeberrimo Tutti gli uomini del presidente) sorge una doverosa riflessione: alzi la mano chi riesce ad immaginare un giornalista delle nostre tristi parti mettere alle corde un politico di quel livello (o anche più basso), chi riesce solo a concepire un’inchiesta giornalistica di quel coraggio e di quella levatura (come fu quella del Washington Post), chi può pensare che la nostra tv possa ospitare un “duello” così decisivo e VERO. O – dall’altro lato – chi possa immaginare un politico nostrano cedere all’ammissione di una verità così scottante. Quando anche solo uno di questi fatti avverrà, probabilmente la nostra “democrazia” potrà dirsi veramente matura.

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