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Stephen Daldry non è regista dalle apparizioni frequenti, ma i suoi lavori sono sempre di discreta qualità: se The Hours era il suo film più “intellettuale” e Billy Elliott il più americano (nonostante l’ambientazione britannica), The Reader è quello più controverso. O almeno vorrebbe essere tale: e per una buona parte – quella centrale, legata al processo – ci riesce anche, condensando il dramma etico di una generazione in poche frasi esemplari. Ciò che circonda questa parte è piuttosto una prova attoriale strepitosa, capace di trasferire l’attenzione dal lato storico della vicenda a quello umano.

D’altronde la grande forza del film sta proprio in quest’abilità di spostare il dissidio morale da fatto personale a dramma universale: quello di una generazione – i giovani tedeschi cresciuti nel dopoguerra – che si è dovuta misurare con le colpe orribili dei padri, tra voglia di dimenticare, bisogno di giudicare e necessità di ottemperare ad obblighi storici per venire a patti con l’eredità del passato.

The Reader condensa splendidamente tutto ciò nella storia – tratta dal romanzo A voce alta di Bernhard Schlink – di una coppia per l’appunto “trans-generazionale”: appena adolescente lui (interpretato da David Kross), donna più matura lei (Kate Winslet). I due si frequentano per un breve periodo, condividendo sesso e letture, fino a che il mistero del passato di lei, inizialmente solo tradito dal suo atteggiamento schivo, non verrà a galla in tutta la sua drammaticità. L’occasione la darà un processo contro i criminali nazisti, che si terrà alcuni anni dopo la loro separazione e che vedrà partecipare lei al banco degli imputati e lui come studente di legge e spettatore allibito.

Se la prima mezz’ora di film scorre via piuttosto noiosamente, affastellando scene di sesso, senza gran senso e con alcuna partecipazione emotiva, il salto di qualità avviene nell’aula di tribunale. “E voi cosa avreste fatto?”, è la frase con cui la protagonista gela l’aula all’inizio del processo: ed è la frase che potrebbe riassumere tutto il dissidio morale di quella generazione, che compì il passo decisivo e fatale, da cui sono poi dipesi, in maniera a volte obbligata, tutti gli altri. È qui che Kate Winslet dà il meglio di sé, con quell’aria stravolta e piangente e quelle battute da tipico spirito nazista che la sceneggiatura le piazza brillantemente in bocca (“Sarebbe stato il caos: poi chi avrebbe riportato l’ordine?”). L’esordio la vede invece ancora fiera e combattiva, pronta ad ordinare al suo soldatino da camera da letto; mentre l’ultima parte in cella ne rivela l’abbandono spirituale. Tre momenti, tre cambiamenti di personalità, tre vite in un solo personaggio, che la Winslet interpreta con veemenza sopita da Oscar.

Accanto a lei, il giovane David Kross riesce a non sfigurare, pur rimanendo prudentemente dentro le righe, mentre il suo alter ego adulto, interpretato da Ralph Fiennes (già alle prese col tema in Schindler’s List), regala momenti intensi e commoventi nel finale.

Il film regge degnamente per due ore e riesce a non essere banale e tantomeno superficiale: vista la delicatezza e complicatezza del tema trattato, non è pregio da poco. L’invito a correre in sala è mai come qui rivolto a tutte le generazioni, perché se c’è un’opera che per una volta riesce a parlare del dramma di quella guerra senza coinvolgere sentimentalismi strappalacrime o spostando la visuale finalmente fuori dal “classico” campo di concentramento, l’occasione è da non perdere. Lungi dalle volontà di Daldry il risolvere la questione morale con il finale del film: sarà compito dello spettatore e della coscienza individuale. E questa è la grandezza di The Reader.

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