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Nel 1967, un professore di un liceo americano di Palo Alto realizza un esperimento assieme alla sua classe, volto a mettere in luce le basi sociali e i meccanismi di gruppo su cui si fonda l’instaurarsi di un regime autarchico. Il tentativo gli sfugge di mano e la situazione degenera. Da quell’esperienza comunque unica verrà realizzato un libro. Il regista tedesco Dennis Gansel decide oggi di trarne un film, ambientandolo ai giorni nostri, in un liceo tedesco. Il risultato è a tratti semplicemente agghiacciante, a tratti spaventoso per le verità che sbatte in faccia allo spettatore senza troppi convenevoli, quasi sempre estremamente attuale ed educativo, specie per una società come quella italiana odierna.

Il professore protagonista de L’Onda (un ottimo Juergen Vogel) mette in atto il suo singolare esperimento nell’ambito del suo corso sul tema dell’autarchia, che si svolge durante la settimana delle esercitazioni. Lo fa spinto dal comportamento “menefreghista” e superficiale dei suoi studenti, che partono dall’assunto (assai diffuso tra le giovani generazioni della società occidentale e democratica) che una dittatura non possa instaurarsi nuovamente nel loro paese. Con estrema facilità riesce ad imporre al gruppo un insieme di regole e di codici comportamentali dettati da forti simbolismi, cameratismo e obbedienza cieca. Nell’arco di pochi giorni l’esperimento degenererà tra violenza, atti dimostrativi e un finale inaspettatamente drammatico (da rimarcare la prova dello studente interpretato da Frederick Lau). E la tesi iniziale del professore verrà dimostrata dall’evidenza catastrofica dei fatti.

Quello che il film di Gansel mette in scena non è uno scenario apocalittico, non è pura fantasia, non è ciò che non si potrebbe mai verificare. Certo, accade in Germania e ai nostri occhi quell’obbedienza quasi cieca e fiduciosa alla disciplina potrà quasi far sorridere. Ma a far rimanere ben seri e con i piedi per terra ci pensano i dialoghi e i dibattiti tra gli studenti della classe, una vera lezione di politica e sociologia su schermo cinematografico, che mette in chiaro quali siano i presupposti socio-economici su cui ogni dittatura fonda le proprie basi: “alto tasso di disoccupazione e ingiustizia sociale”. Un paio di paroline su cui riflettere per un’ora e mezza. E possibilmente anche oltre…

Il rimedio ai due problemi lo trova il professore, che dona al popolo spaventato un’identità da branco e regole certe su cui fare affidamento. C’è un ruolo per tutti nel nuovo ordine, anche per quei ragazzi che si rifugiano nell’Onda (questo appunto il nome della nuova “società”) alla ricerca di una comunità che sappia accoglierli, che funga da parafulmine dell’indifferenza del nucleo familiare. Ma quando identificazione, esaltazione e fede cieca in un qualche progetto crescono assieme, la disciplina diventa l’anticamera della degenerazione violenta verso il diverso, verso chi non fa parte del gruppo “eletto”.

L’Onda è una metafora continua, è un continuo segnale d’attenzione rivolto allo spettatore, è un infinito riferirsi a fatti di un’attualità devastante, fortunatamente ancora sublimati dalle regole e dai meccanismi di una società democratica. Quello di Gansel potrà sembrare il classico film da cineforum o da proiezioni scolastica: è piuttosto un film da visione obbligata per un’intera società, per un’intera cultura e per intere nazioni, a cominciare dalla nostra e da quella tedesca.

Scriveva Primo Levi in un’intervista inedita pubblicata poco tempo fa su La Repubblica: “[I tedeschi] hanno delle virtù che diventano pericolose: questa loro straordinaria passione per la disciplina (che a noi manca – ed è male – ma loro ne hanno troppa!) per cui sono pronti ad accodarsi a chiunque comandi, mi fa paura”. E’ una frase che sarebbe dovuta finire sui titoli di testa del film nella versione tedesca. “Quali condizioni sociali sono necessarie per l’instaurarsi di una dittatura?”, chiede il professore del film. Le risposte sono: alto tasso di disoccupazione, ingiustizia sociale, disaffezione per la politica, nazionalismo. E queste invece sarebbero dovute finire a caratteri cubitali sui titoli di coda della versione italiana.

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