Due partite è uscito in sala in concomitanza con l’8 marzo ed è stato affidato da Cristina Comencini (rischio calcolato?), autrice della commedia che ha portato in lungo e in largo per la penisola, a mani maschili (quelle di Enzo Monteleone – El Alamein).
Imbevuta la pellicola in un decor fin troppo compiacente, non basta un arredo per ricreare l’odore e il sapore degli anni ’60 e le stupende canzoni interpretate da Mina, non fanno altro che sviare l’attenzione dal ricco testo muliebre.
L’operazione è un’ambiziosa rilettura della dignitosa piece ma, nonostante sia ricca di citazioni, passando sul fotogramma perde la profondità e lo spessore teatrale. Diventa, infatti, quasi un flusso di coscienza che passa dalle madri alle figlie di questo disparato e assortito gineceo. Quasi una giostra della vita che dovrebbe illustrare il passaggio generazionale.
Purtroppo, si sconfina in una quasi-fiction per tempi e modalità e soltanto le prove attoriali delle attrici, la Ferrari su tutte, rendono dignitosa l’intera operazione. E’ proprio Isabella Ferrari, infatti, con la sua “stuporosa” fissità, a regalarci una Beatrice dalla voce roca e frammentata da urla esistenziali.
Si sorride, invece, con il tormentone sulla poesia di Rilke e ci si emoziona, a volte, ma in superficie come se il regista avesse tenuto, spesso e volentieri, il freno a mano tirato.
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