Cinema di impegno civile, molto classico, forse troppo. Marco Risi, ormai esperto del campo (Meri per sempre e Il muro di gomma), sceglie stavolta di raccontare la storia di Giancarlo Siani.
È il 1985, Siani ha 26 anni, è appassionato del mestiere di giornalista e, con l’entusiasmo della giovinezza e la forza dell’indignazione, denuncia sul quotidiano Il Mattino gli scempi della camorra e dei suoi protettori politici. La Campania beneficia di un fiume di denaro pubblico stanziato dopo il terremoto dei primi anni Ottanta, e questo scatena gli appetiti della criminalità organizzata. Collaborando con la parte sana delle istituzioni (inquirenti, docenti universitari come Amato Lamberti), il praticante cronista pesta i piedi a molta gente: nella guerra per bande in atto a Torre Annunziata, non può durare a lungo…
Eccellente prova d’attore per Libero de Rienzo, che si immedesima anche fisicamente in Giancarlo Siani, intrecciando vibrante umanità e giovanile ingenuità. Peccato che lo slancio e la dedizione con cui viene resa la figura di questa poco ricordata vittima delle italiche mafie non trovi adeguata corrispondenza nell’allestimento complessivo del film, nel quale la maggior parte degli altri protagonisti svolge il proprio compito in modo caricaturale (il sindaco corrotto di Fantastichini, i vari camorristi super-tamarri e crudelissimi) o stucchevole (la fidanzatina Lodovini).
Un po’ meglio Michele Riondino (il tossico collega-amicofragile), ma soprattutto i solidi Ernesto Mahieux e Renato Carpentieri, che incarnano rispettivamente l’anima cinica e quella solidale della società napoletana, complice e vittima del cancro chiamato camorra, terribile moloch contro cui si ergono eroi destinati ad essere solitari – ma forse l’Italia ha imparato la lezione e non lascerà solo uno come Roberto Saviano.
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A mio avviso, infatti, sarebbe stato un miglior candidato agli Oscar 2010 dello scontato Baarìa.
Bellissimo film. Rispecchia pienamente ciò che accadeva nella provincia di Napoli in quel periodo.
[…] debbo citare l’irlandese The Herd by Ken Wardrop). A concludere, la proiezione notturna di Fortapasc. Ottima occasione per recuperarlo, se lo aveste perso in […]
[…] Presidente del Sindacato Nazionale Giornalisti Cinematografici Italiani (SNGCI). Pellicole come Fortàpasc di Marco Risi (6 candidature), il già citato Il divo di Sorrentino (con ben 9 candidature), […]
Io sono pronto a scommettere, senza averlo ancora visto…che De Rienzo è 20 volte meglio della Lodovini, le cui capacità recitative sono inversamente proporzionali alla bellezza del decollété. Il bello (visto che siamo in tema) è che siamo l’unico paese al mondo che permette ad attrici cagne (per citare la mitica serie Boris) di fare cinema d’autore. Un buon sabato a voi tutti! 😉
Condivido le osservazioni di Carlo, anche se non totalmente – il giudizio su alcune prove recitative è invertito rispetto al mio, ma rilevo che ricorre il termine “caricaturale”. Quanto alla valutazione su De Rienzo: così hai “ammazzato” il film, che si regge su di lui…. 😉
ok grazie, alla prossima
Roberto
Il film è da vedere anche se incerto nella linea di narrazione e con qualche abbandono improvviso di qualche personaggio nel corso del racconto. Degli attori trovo bravi soprattutto Pecci, Riondino, i due Gallo che interpretano Valentino Gionta e il suo braccio armato con truculenza realistica; trovo invece Maieux caricaturale e De Rienzo senza colore.
Ciao,
anche se mantengo qualche riserva sul risultato filmico complessivo, sicuramente la tensione civile di “Fortapàsc” è forte e – di questi tempi – estremamente meritevole. Anche il lavoro di Marco Risi sui giovani viene da lontano (vedi il già citato “Mery per sempre”, che mi piacque tantissimo).
Quante alle voci dei genitori, beh, bisognerebbe chiederlo a Risi…
Grazie del commento e a presto
Roberto
Non mi sembra che Rob lo abbia denigrato, anzi. Bella annotazione, quella sui genitori. A te la risposta dettagliata, Roberto. 🙂
Ciao a tutti,
Non sono d’accordo con la critica l’ho trovato un film molto bello,azzeccato il confronto tra i due giovani, quello più alternativo in relatà più fragile per confrontarsi con una realtà durissima,ci dà la possibilità di ricordare un fatto di cronaca troppo spesso dimenticato.
Mi chiedo il perchè della scelta del regista di non inquadrare mai i genitori di Giancarlo Siani ma farne ascoltare solo le voci.
Ciao
Massimo