pushTelecinesi. Chiaroveggenza. Telepatia. Chi di noi non vorrebbe avere tali poteri?

Intorno a noi, si crede, che ci siano uomini e donne che hanno tali doti e i governi di tutto il mondo studiano la possibilità di usare queste capacità paranormali.
Nel periodo nazista furono messi in atto esperimenti per sviluppare guerrieri con tali attitudini. Successivamente sovietici e americani condussero programmi di ricerca di Mind Control.

Da episodi, più o meno reali, nasce l’idea di Push, thriller fantascientifico e ricco di azione che sprofonda nel pericoloso mondo dello spionaggio psichico, nel quale persone con poteri paranormali, artificialmente potenziati, hanno la capacità di muovere oggetti a distanza, prevedere il futuro, creare nuove realtà e uccidere con la sola forza del pensiero. In questo scenario un giovane, Nick Gant (Chris Evans), e una tredicenne, Cassie Holmes (Dakota Fanning), devono fuggire da agenti segreti in una corsa contro il tempo che determinerà il futuro dell’umanità.

Push è ambientato ad Hong Kong, che oggigiorno è un centro commerciale potente: prima per il commercio, poi per la manifattura, ora per affari e industrie cinematografiche. Ma Hong Kong è stata scelta anche perché perfettamente adattabile a una storia futur-fatalistica come Push: una fusione di Cina imperiale, Gran Bretagna coloniale e metropoli futuristica. Un perfetto spaccato delle sovraffollate città di Blade Runner.

Colori sgargianti, popolazione multietnica, grattacieli e palafitte, antico e moderno, in un susseguirsi ritmico e veloce, perfettamente aderenti alle vicende che si intrecciano, si susseguono e inseguono, in un film adrenalinico e ben strutturato.
Secondo l’arte cinese del feng shui, la convergenza degli oceani, delle montagne e delle pianure forma la tana del drago, un posto dove sono possibili cose straordinarie. Questa è Hong Kong e questo è il film in cui accadono cose straordinarie davvero.

La sceneggiatura tiene (aspettiamo l’inevitabile seguito), non particolarmente innovativo, ma ha buoni spunti fumettistici, due ora da bere, anche se non ci si disseta del tutto; manca qualcosa… l’oliva.
E sì, va bene il cast, con una Dakota Fanning sempre molto brava, ma sempre uguale a se stessa; perfetto Djimon Hounsou (Amistad, In America e Blood Diamond, per i quali fu candidato all’Oscar e molto in parte Chris Evans (la torcia umana de I fantastici quattro), ma gli spettacolari poteri spesso hanno delle realizzazioni e riprese che ricordano i vecchi film di serie B, che sia voluto?

Fatto è che questo meccanismo disturba l’occhio, soprattutto dei più smaliziati abituati ad effetti speciali spettacolari, oggi gli effetti visivi della prima trilogia di Guerre Stellari fanno sorridere: ecco, Push coniuga la fantascienza moderna con vecchie tecniche cinematografiche, creando però un pugno nell’occhio dello spettatore, lasciando che il Martini Dry secchi i palati, senza il gusto dolce/amaro dell’oliva.

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3Comments

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    Massimo Frezza

    Modello “Heroes Season 2”, insomma! Alcuni personaggi, come mi disse il buon Alberto Farina qualche giorno fa…rinascono talmente tante volte…che ce vò ‘na mappa pè ricordarseli tutti! ;-.D

  3. 3
    Luca Gianneramo

    Ma vogliamo parlare del contratto della Fanning, che probabilmente prevedeva categoricamente gonne non più lunghe di 5 cm? Almeno spero che sia stato per la chiara emulazione dell’effetto ninfetta alla Leon: perchè altrimenti è da galera. In ogni caso la “citazione” dallo stile della nascente Portman mi sembra evidente…

    Per il resto concordo: effetti speciali (volutamente? Speriamo…) ridicoli, stile cartoon giapponese, ma nonostante ciò una sceneggiatura che tiene molto bene per due ore. Non capisco però come si possano fare film già con l’idea del sequel (e questo mi sta pure bene), ma lasciando buchi di sceneggiatura inspiegabili e sinceramente inaspettabili, “tanto ce li spiega il sequel”. Bah!

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