milvaSangue nero in campo bianco, sangue bianco in campo nero.

Gli scacchi sono il gioco di Dio, l’eterno dilemma vita-morte della saggezza Zen, il confronto intellettuale per eccellenza. L’unico in cui, se non ci si gioca l’anima, se non si mette in campo la carne, ad un certo livello di maestria…è impossibile uscirne vincitori.

Non a caso, Einstein si guarda bene dall’utilizzarlo come esempio nel suo famoso aforisma “Dio non gioca a dadi”! Negli scacchi, infatti, il caso è bandito. Tutto è prevedibile, tutto è già scritto nelle menti dei contendenti e nell’universo che li circonda.

Si tratta del gioco più affascinante al mondo e i grandi drammaturghi come Samuel Beckett ne sono la prova evidente. Il suo Finale di partita (Endgame), è un capolavoro senza tempo che non sarebbe mai esistito senza il genio che inventò gli scacchi e, osando sfidare il suo sovrano chiedendo l’impossibile, morì decapitato. Gli scacchi sono la materia prima, la metafora primaria, l’essenza di un intenso romanzo, pubblicato a cinquant’anni, come opera prima (pazzesco), dal talentoso scrittore goriziano Paolo Maurensig.

Sono già passati quindici anni da allora e La variante di Lüneburg (caso letterario del 1993, edito da Adelphi) si è affermato, a livello planetario, come uno dei più bei romanzi sull’Olocausto mai scritti dopo Se questo è un uomo di Primo Levi.
Milva, icona vivente del cantar teatrale, torna a calcare le tavole dell’Eliseo per ricordarcelo, attraverso un’intenso spettacolo musicale che deve molto all’espressionismo tedesco.

Lo fa con l’energia di una giovane donna e la misurata, rabbiosa, consapevolezza di un’interprete matura ed esperta. Supportata, in ogni città, da un coro locale (a Roma, per le due rappresentazioni al Teatro Eliseo, si è avvalsa delle giovani interpreti del coro ensemble InCantus di Civitavecchia), l’angelo rosso ha coinvolto ed emozionato gli spettatori, sottolineando con la sua voce potente e profonda, l’inquietante atmosfera che sottende l’efferato sterminio del popolo ebraico, narrata da Maurensig nelle pagine del suo romanzo e trasformata da lui medesimo, per lei, in dieci canzoni, musicate da Valter Sivilotti.

La suggestione è stata, a tratti, incredibile: a sinistra, il pianista (Sivilotti). Al centro, Milva e il lettore-attore  Walter Mramor. A destra, nascosto da un paravento scorrevole, il coro (vestito completamente di nero, come i pezzi degli scacchi, come la morte, come il lutto per le vittime della follia nazista). Su tutto e su tutti, senza mai vederli (ottima scelta registica), gli scacchi. “Rigorosamente di legno”, materiale vivente che assorbe l’energia vitale del giocatore e ne asseconda le intenzioni, sono loro i veri protagonisti delle canzoni e del dramma. Loro, la chiave di questo Settimo sigillo all’ennesima potenza, in cui l’uomo non gioca a scacchi con la morte, bensì con un suo simile per la vita-morte di vittime innocenti.

Non a caso, Tabori (l’ebreo scacchista, sopravvissuto allo sterminio, proprio per questa sua rara qualità) dirà di se stesso: “Sono un uomo che ha giocato all’inferno”. Sarà questo insanabile senso di colpa che perseguiterà il protagonista sino all’epilogo, questo il dolore che gli squasserà il petto. Giocare per la propria salvezza, infatti, è eticamente giustificabile. Essere arbitri del destino dei propri simili, privandoli del libero arbitrio, “ci rende uguali al nostro carnefice”.

Particolarmente bella, la rievocazione dell’alba nel bosco, cui è seguita l’aria “della madre”, eseguita da Milva anche nel bis che, visibilmente commossa, ha concesso al pubblico. Rimane, sino all’ultimo, il perverso desiderio di osservare, anche solo per un istante, quella scacchiera di stoffa lisa, di cui tanto si parla: probabilmente perché “Siamo fatti della materia di cui son fatti i sogni”, come ci ricordano dal palco citando La tempesta di Shakespeare. In questo caso, si è trattato di un incubo di sangue, ormai “così lontano”, eppur “così vicino”. Ottimo lavoro.

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