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Seconda opera – per metà nuovamente autobiografica – del vincitore del premio alla Regia di un film drammatico al Sundance Film Festival 2006, con l’acclamato Guida per riconoscere i tuoi santi come pellicola d’esordio. Dito Montiel si racconta ancora una volta attraverso il giovane e lanciatissimo volto di Channing Tatum (Step Up, Coach Carter), sviluppando l’idea del produttore Misher (Fast and Furious) di realizzare un secondo progetto imperniato sul mondo delle lotte clandestine.

Peccato che Fighting risulti distante anni luce dall’originale carica adrenalinica di quel primo episodio di Fast and Furious e, pur giocando sullo sfondo di una New York alternativa, fatta di vicoli e metropolitane che dovrebbe confermare l’intimità del regista con la sua città di nascita, il senso complessivo di quasi due ore di action movie sembrerebbe esser unicamente quello di anticipare una serie di film che vedranno protagonista il fisico quanto mai atletico di Tatum. In programmazione per lui, difatti, l’ennesimo adattamento cinematografico d’un romanzo di Nicholas Sparks, affidato a Lasse Hallström, nonché l’atteso G.I. Joe: la nascita dei cobra, a fianco di Sienna Miller e Joseph Gordon-Levitt.

Sostanzialmente, la solita trama «di facciata» atta a giustificare qualche discreta scena di combattimento esposta tra una battuta e l’altra dei personaggi, con dialoghi peraltro abbastanza insignificanti, non fosse per gli accenti e gli atteggiamenti da americani doc che rimpolperebbero l’atmosfera da «hey man» onnipresente nel film. Abbiamo Shawn MacArthur (Channing Tatum), sensibile e mite ragazzo alla ricerca di un qualcosa – qualunque cosa – che possa dare una svolta alla miserabile vita che conduce, dapprima in una piccola cittadina di provincia, poi a NY, dove cerca di piazzare della merce contraffatta.

Ed abbiamo Harvey Boarden (interpretato da Terrence Howard che, dopo Crash e Il colore della musica, cade vittima delle aspettative nei confronti di Montiel), spiantato truffatore che, dopo un tentativo andato a male di raggirare il ragazzo, troverà in lui tutte le inimitabili doti di un eccellente street fighter, e vorrà aiutarlo a sfondare nel campo organizzando qualche primo incontro con i promoter di lotte clandestine (tra cui spicca Luis Guzmàn – Traffic – nel ruolo di Martinez). Aggiungiamoci l’indubbiamente bella Zulay Henao (Grizzly Park), che dà qui il nome al proprio personaggio, Zulay Valez, e con cui Shawn allaccerà un’incerta relazione d’amore, ed il gioco è fatto. Non mancano avversari russi, coreani, o vecchie nemesi del passato pronte a tornare in gara per un confronto diretto col giovane Shawn.

A parte le innumerevoli inquadrature del sorrisino sbieco di Tatum, che punta forse a ricordare quello di Josh Hartnett nei suoi incontri da pugile in Black Dahlia, Fighting fallisce nell’impresa di render New York un personaggio a sé stante, restituendola al contrario spenta e vuota, tanto più noiosa ed annoiata. E quasi verrebbe da riesumare quel vecchio film del 2005, Havoc – fuori controllo. Stesso Channing Tatum, stessa voglia di superare i confini del già visto, stesso risultato: presto dimenticato e messo in archivio.

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