Dopo aver girato il controverso Antichrist, coraggiosa prova del visionario Lars Von Trier (suoi i capitoli Dogville e Manderlay della trilogia cui farà seguito l’annunciato Wasington), che ha visto la figlia d’arte Charlotte Gainsbourg (Io non sono qui) ed il due volte candidato al premio oscar Willem Dafoe (degno di nota nel recente Un segreto tra di noi, assieme a Ryan Reynolds) co-protagonisti dell’ultimo festival di Cannes, sul tema della mutilazione corporea torna a far luce il cinquantatreenne “ragazzone” del Wisconsin, stavolta nei panni di un detective di polizia che dovrà indagare su un’inquietante catena di omicidi.
Il personaggio di Dafoe, che vagamente ricorda una versione maggiormente cupa del Nicholas Cage de Il genio della truffa, sarà difatti l’uomo-chiave ricollegabile alla serie di crimini commessi da un serial-killer il cui modus operandi ricorderà tanto quello di un vecchio assassino di sua conoscenza, notoriamente morto in un tentativo di arresto di alcuni anni prima. Alle prese con un possibile emulatore, il poliziotto darà nuovamente la caccia ad un maniaco dell’arte grottesca, che utilizzerà la tecnica anamorfica per manipolare le leggi della prospettiva e dar vita ad incredibili immagini su tela grazie ai cadaveri delle sue stesse vittime, oggetto dei dipinti.
Scritto e diretto da Henry Miller, esordiente di stampo indie che ha proposto l’insolito (e sconosciuto) Late Watch nel 2004, Anamorph è in realtà antecedente all’Antichrist di Von Trier di ben due anni, benché sia stato rilasciato in Italia solo la scorsa settimana e, pensate, in così poche sale che è quasi impossibile riuscire a reperirne la visione. Reduce di un gigantesco flop negli Stati Uniti, nel cast compaiono anche i nomi di Scott Speedman (il Michael Corvin di Underworld) e Clea Duvall.
Quest’ultima, specializzata in thriller di leggero impatto e affatto macchinosi come il sopravvalutato Passengers – Mistero ad alta quota, e serie TV dal discutibile e fantascientifico scenario come Heroes, sembra aver definitivamente abbandonato il filone d’oro che aveva rincorso con 21 grammi e Zodiac – le cui analogie con Anamorph sono sì tante (l’omicida che, in un modo o nell’altro, finisce con l’annunciare le sue prossime vittime; il detective di turno che deve interpretare il suo personalissimo codice di scrittura), ma altrettanto vaste quanto la notevole differenza di qualità tra le due pellicole.
Perché se è vero che il gioco d’illusioni creato dal killer possiede una nota accattivante, è impossibile credere che quasi due ore di pellicola incentrata sulla caccia al volto del macellaio si risolvano, in realtà, in pochi minuti del finale, coerente da una parte, inspiegabilmente rapido e sfocato dall’altra.
Tirando le somme: l’onnipresente atmosfera grigia ed ingiallita del film non porta in fin dei conti da nessuna parte, né sembra rievocare alcunché di significativo negli occhi dello spettatore, che risulterà anzi un tantino infastidito dalla nebulosa visibilità degli eventi in flash-back, tecnica ormai non più usata nel cinema contemporaneo; mentre la musica, discreta e perfettamente adattabile, non è altro che il suo unico punto di forza laddove i personaggi e le location, pur richiamando un ché di originale e di introspettivo, non forniscono alcun dettaglio sulle reali personalità degli stessi, confuse e mal delineate.
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