towelhead_piccola

Jasira è, apparentemente, la realizzazione di un’utopia: essendo di padre arabo e madre americana, la sua stessa esistenza è la prova che può esistere un’armonia tra l’Occidente e l’Islam. La narrazione ha, infatti, luogo proprio negli anni della Guerra del Golfo. Niente di più errato: i suoi genitori hanno divorziato quando lei era ancora piccola (metafora bellica più che evidente) e lei, Jasira, ha sempre vissuto in America con la madre. Un bel giorno, però, la giovane compie tredici anni, il suo corpo subisce una precoce trasformazione ed è l’inizio della fine.

Dallo sceneggiatore di American Beauty, Six Feet Under e True Blood Alan Ball (qui, in veste di regista ed autore), un ambizioso progetto (l’adattamento del romanzo Beduina di Alicia Erian) che oscilla, forse troppo, tra diverse boe semantiche, ugualmente cruciali: il problema della pedofilia, la raffigurazione del traumatico passaggio dalla pubertà all’adolescenza, l’incontro scontro tra culture antitetiche che poco sanno l’una dell’altra. Apparso al Sundance Film Festival 2008Niente velo per Jasira presenta dei passaggi ben eseguiti: quelli che mostrano la sensuale Jasira  interagire con la cultura mercificante americana (qui rappresentata da una nota rivista per adulti), attraverso il trucco, i vestiti e le fotografie come arma di seduzione.

Meno significativi, invece, risultano essere gli elementi narrativi tesi a rappresentare la pedofilia come patologia seria /fenomeno paurosamente in crescita, in tutti gli ambiti della società. Jasira appare, infatti, sin troppo compassata e consapevole di ciò che le accade per farci realmente credere che stia subendo una violenza. Le parole, infatti, sono sicuramente molto più curate delle scelte di regia, le quali risultano, spesso, poco convincenti.

Valida, invece, senza alcun dubbio, l’interpretazione di Peter Macdissi (Six Feet Under) che veste i difficili panni di Rifat Maroun, il padre di Jasira che si finge emancipato per meglio integrarsi nel difficile ambiente in cui vive e lavora mentre conserva aspramente i valori conservatori ricevuti attraverso le proprie radici “non occidentali”.
Più che il rappresentante del mondo arabo, infatti, il personaggio di Rifat incarna l’archetipo di una civiltà antichissima che si vede minacciata dalla superficialità occidentale, specialmente attraverso gli spregiudicati, precoci e “troppo aperti” costumi sessuali. Durissime e perfette, a tale proposito, le brevi sequenze del primo incontro tra i due, quando Jasira viene mandata dalla madre a vivere con il padre (in seguito ad un “imbarazzante” incidente di percorso) e della punizione corporale in macchina.

L’intraducibile titolo originale è, invece, estremamente azzeccato. “Towelhead”, “Testa di asciugamano”, si riferisce, infatti, al turbante che gli arabi portano sulla testa. Si tratta, quindi, di un epiteto pesantemente razzista che, nel film, introduce un ulteriore livello narrativo, quello del bullismo nelle scuole di cui Jasira è tre volte vittima: come straniera, come araba e come “femmina”. In conclusione, non siamo di fronte ad un nuovo American Beauty ma il tentativo è apprezzabile e merita spazio sul grande schermo. Peccato che, da noi, si sia trattato soltanto dell’ennesimo tappabuchi estivo o “uscita tecnica”: il film, infatti, è del 2007. Che si abbia paura di mostrare agli adolescenti una realtà “leggermente diversa” da quella di Hogwarts?

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