BastaFunzioni

Sono ormai trascorsi trent’anni, da quando Woody Allen e Diane “Annie” Keaton passeggiavano per una Manhattan in bianco e nero, accompagnati dalle melodie classiche e jazz del noto compositore George Gershwin (bellissima e memorabile la sua Rhapsody in Blue). E, malgrado una breve parentesi europea in cui Match Point segnava una nuova fase artistica del regista e Scoop una piccola riapparizione dello stesso nel ruolo di attore di spalla, lo scrittore di quasi cinquanta commedie di successo è pronto a tornare nella sua amata New York, per un film che sembra voler tirare le somme di una vita passata all’insegna del genio e della follia, e che vi riesce con una nota malinconica e quel pizzico di autoironia tipicamente alleniana che mai potrebbe mancare.

Scritto per il grande schermo verso la fine degli anni ’70, Basta che funzioni (in originale, Whatever Works) avrebbe dovuto vedere Zero Mostel (Per favore, non toccate le vecchiette) come suo principale interprete. Con la morte di quest’ultimo, avvenuta nel 1977, la sceneggiatura è stata messa in un cassetto sino a quando Allen non si è sentito pronto a rimaneggiarla.

Il risultato è un’opera macchiata da un pessimismo di fondo giunto al suo limite più estremo, facilmente paragonabile all’atmosfera esistenzialista di Manhattan e, tuttavia, del tutto accostabile ad una versione meno inglese (e attuale) di Match Point. Questo, perché le novità che porta la nuova pellicola di Woody Allen sono ben poche: il messaggio principale, con gran disinvoltura ed un forte omaggio a se stesso, rimane pur sempre quello dell’importanza del caso o della fortuna. Meglio aver dalla propria parte il fato, piuttosto che il talento.

Esponente di questa vecchia e familiare teoria è, stavolta, Larry David (nota del caporedattore: trattasi del mitico autore di Seinfield e protagonista della serie di culto Curb Your Enthusiasm), perfetto alter-ego di Woody se si pensa alla maggior parte dei suoi ruoli. Grande ammiratore del regista e già intravisto in Radio Days e New York Stories, David ha i numeri giusti per vestire i panni di un’altra personalità brillante, il cui esasperato disfattismo è solo uno dei tanti aspetti caratteriali. Il suo personaggio, difatti, pare esser costruito a tavolino da un Allen evidentemente sopraffatto dalla voglia di mettere in chiaro, una volta per tutte, il proprio modo di pensare.

Boris Yellnikoff (Larry David) è un ex professore della Columbia University, autoproclamatosi genio grazie, almeno a sua detta, ad una candidatura al premio Nobel per la Meccanica Quantistica. Ciò che lo distingue dall’insignificante massa di “vermetti” che lo circondano è una visione d’insieme delle cose, che culmina in un ateismo sfrenato e, di conseguenza, in un rifiuto della morte incentivato da frequenti crisi di panico ed un tentativo di suicidio alquanto malriuscito. Divorziato da sua moglie e finalmente libero di essere un inguaribile misantropo, trascorre le sue giornate ad irritare quei pochi amici che gli rimangono con accese discussioni sulla vuotezza del mondo, così come ad insultare gli sfortunati ragazzini che prendono lezioni scacchistiche da lui. Il momento della svolta, o meglio del caso, arriva con Melody St. Anne Celestine (Evan Rachel WoodAcross the Universe, The Wrestler), giovane dalle doti intellettuali non troppo sviluppate ma dall’aspetto più che gradevole: scappata dalla propria famiglia e proveniente da una contea del Mississippi, la ragazza avvicina Boris armata di una mente provinciale e delle migliori intenzioni che si siano mai viste. Ciò che le manca è solamente un posto nel quale trovare del buon cibo ed un comodo letto su cui dormire.

Il cast artistico è controfirmato da una serie di nomi importanti: l’attrice Patricia Clarkson, bravissima a dispetto di una sorprendente candidatura all’Oscar per Schegge di April, è la madre di Melody, sbarcata a New York per ritrovare sua figlia dopo che il marito, interpretato da Ed Begley Jr. (Batman Forever, Turista per caso), l’ha tradita con la sua migliore amica. Mentre Henry Cavill, il bel Charles Brandon della serie televisiva I Tudors – Scandali a corte, è l’affascinante ragazzo che s’innamorerà a prima vista di un’Evan Rachel Wood tutta inedita ma che, con talento naturale, si assume l’oneroso incarico di esser la nuova musa di Allen e, soprattutto, una mancata Scarlett Johansson (moltissime le analogie tra questa Wood e quella Scarlett di Scoop).

Impeccabile, come di consueto, il commento musicale jazz di sottofondo, di cui si era persa ogni traccia dopo Anything Else. Per il resto, se è vero che la critica più spietata troverà scontato e ripetitivo il nuovo Woody Allen, è altresì giusto ammettere che l’originalità del film, nel suo complesso, risiede nella comicità di un rapporto tra un genio un po’ attempato ed una ventunenne senza cervello, oltremodo ingenua: citando Boris, sarebbe un gran peccato perder la visione d’insieme di una sceneggiatura dai dialoghi intensi, ciò nondimeno accessibili a chiunque. E poi, non dimentichiamoci che… basta che funzioni.

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