La doppia ora è una storia di doppie vite. Quella di Guido, interpretato da un Filippo Timi ormai specializzato nel dar corpo ad ogni forma di irrequietezza esistenziale: il film non è quasi iniziato, e già scopriamo che è un ex poliziotto sposato.
Non meno doppia è la vita di Sonja, di giorno cameriera in un grande albergo e di notte frequentatrice, come del resto Guido, di un club per single (la cui direttrice è una smagliante Lucia Poli): la sanpietroburghese Ksenia Rappoport, che per questa interpretazione si è aggiudicata la Coppa Volpi a Venezia 66, ci ha invece abituato, dopo La sconosciuta di Tornatore, a ruoli di donna misteriosa venuta dall’Est, in questo caso dalla Slovenia – “Lubiana? E dov’è?”, le chiede un rozzo avventore del club notturno.
L’incontro tra i due è, apparentemente, la classica attrazione fatale, che però si interrompe a causa di una rapina finita in tragedia. Sonja sopravvive al compagno scomparso e si trova quindi ad affrontare una realtà oscura, confusa, minacciosa, piena di visioni, di paure, di altre morti. Poi, di colpo, il velo di apparente follia che la obnubila si lacera e il mosaico si ricompone, ogni tessera al suo posto. E la realtà che sembrava avere una dimensione si rovescia nel suo contrario.
L’unico che conserva la mente lucida è Dante (un ottimo Michele Di Mauro), l’amico ex collega del protagonista, a cui suggerisce di non abbassare la guardia, di non credere che la realtà sia proprio quella che sembra…
Seguendo con coerenza questa traccia drammaturgica, Capotondi porta la narrazione fino alle sue estreme conseguenze logiche, costruendo un meccanismo “ad orologeria” sì, ma con dentro la sofferenza di vite spezzate, disposte a tutto pur di coltivare ciò che resta dei propri sogni. Del resto, il regista può a giusto titolo esibire il prestigioso riconoscimento del Premio Solinas, dove la sua sceneggiatura ha ottenuto, con il titolo originale de Il cuore della notte, la menzione speciale “Storie per il Cinema 2007”.
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