Abbracci spezzati

Immaginifico, caleidoscopico, polifonico Pedro! Il suo posto nel pantheon dei grandi del cinema contemporaneo è assicurato da tempo, anche se qualche malevolo potrebbe aggiungere che la concorrenza non è granché, certamente non ai livelli dei maestri che cita a piene mani in questa sua opera: sullo schermo scorrono continue citazioni, a volte esplicite, a volte meno, dal Rossellini di Viaggio in Italia a Il bacio della morte di Henry Hathaway, alle quali Almodòvar attinge per mettere in scena uno dei suoi film più trans-gender degli ultimi tempi.

E sì, perché il vulcanico cineasta nella stessa opera mette insieme, come e più del solito, commedia, dramma, noir, metacinema. La vicenda di Lena – la solita smagliante Penelope Cruz, che cita ora Audrey Hepburn, ora quasi Anna Magnani – e di Mateo non è solo un amour fou in piena regola, è anche una riflessione sui mutamenti di identità, così frequenti nella nostra epoca eppure così fraintesi: come dice lo stesso Almodòvar, «Il “doppio” è uno dei tratti identitari de Gli abbracci spezzati. Il “doppio” non inteso in senso morale (ambiguità, doppiezza), piuttosto “duplicazione, ripetizione o ampliamento”».

Tutto gettato in dosi generose nel frullatore del regista iberico, che restituisce una miscela di emozioni, sensazioni, immagini, assecondando l’unica vera musa di Pedro, ovvero l’estetica pop interpretata alla sua maniera, dissacrante e provocatoria sì, ma pacata, serena, addirittura saggia – sono ormai passati gli anni ruggenti de La legge del desiderio (film posto a epigrafe della sua carriera come dimostra l’intestazione della casa produttrice).

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