L’uomo nero

Uomo nero

Spesso i sogni infranti e l’insoddisfazione portano all’esasperante conflitto interiore. Si può ricominciare, forti ficati dal destino avverso o si soccombe, scivolando nell’apatico limbo. Ernesto Rossetti-Sergio Rubini trova la terza soluzione, rincorrere caparbiamente per tutta l’esistenza quel sogno infranto, sapendo essere infranto solo in parte e vivere la quotidianità con esso, come un abito cucito addosso.

La storia, ben confezionata e ben interpretata, con un’ottima ricostruzione epocale, è ambientata negli anni ’60, riportata ai giorni nostri attraverso i ricordi di Gabriele Rossetti (Fabrizio Gifuni), che torna in Puglia al capezzale del padre, Ernesto . Una rievocazione poetica e priva di dietrologia di quando aveva 8 anni e il genitore, un insoddisfatto capostazione, si dilettava pittore sbeffeggiato dall’ ambiente. Erano gli anni in cui la voglia di emergere dall’anonimato era il sogno più ambito. Ma nascere e vivere nel posto sbagliato determinava la differenza. Di contro, in ogni luogo dell’universo imperversa l’ombra dell’uomo nero, le paure di bambino non hanno collocazioni geografiche. E vedere come, all’improvviso, con un gesto semplice ma significativo (gettare caramelle dal finestrino di un treno), si possano sciogliere come neve al sole.

Ancora Puglia. E tanta. Come in La stazione (suo film d’esordio da regista) fino a La terra. Ma ne L’uomo nero non c’è un timido capostazione né una saga familiare dai sapori tragici. C’è comunque il denominatore comune: la famiglia, le origini, il fuggire per poi ritornare, o il restare affrontando le dinamiche del sud immobile e immutato e la consapevolezza del riavvicinamento attraverso i ricordi, l’odore. E stabilire che è proprio l’immutatezza talvolta il solo collante affinchè la memoria resti.

Il film si concentra e avvolge, come un guscio, intimisticamente , seppur la coralità non manchi. E’ un percorso lineare, descrittivo, consapevole. Talvolta ironico, in alcuni tratti commovente ed in altri quasi teatrale con finale sorprendente, in barba ai pregiudizi morali e intellettualistici dell’epoca. Un ricordo in punta di piedi, delicato, al teatro di Edoardo: nella gestualità, nelle movenze e nelle scene familiari: il cognato a carico, le liti in famiglia, il rito della vestizione, pulitura delle scarpe, i sogni propiziatori-premonitori della moglie .

Prodotto da Bianca Film e Rai Cinema e con la collaborazione Apulia Film Commission il film è diretto e scritto da Rubini con Carla Cavalluzzi e Domenico Starnone, con un cast appropriato e decisamente meritevole. Scamarcio affonda sornione il graffio del riscatto, svestiti definitivamente i panni mocciani , una breve apparizione della Buy nella parte dell’amore giovanile, e Fabrizio Gifuni nel figlio custode del la memoria. Molto brava, anche se carnalmente poco meridionale, Valeria Golino. La pellicola è stata realizzata a Mesagne, Manduria e nel territorio fra Brindisi e Bari.

3 commenti

  1. pienamente d’accordo con la recensione!
    bel film davvero, l’ho visto solo ora

  2. Non colgo il riferimento. Se trattasi di recensione, avviene dopo la visione del film. Ergo: o è all’altezza, o non la si scrive in tal modo. Cosa intendevi dire?

  3. bella recensione…. speriamo il film sia all’ altezza di quanto scritto

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *