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La Terra. Lo scrigno della vita

“C’è sempre un motivo, in natura, per cui qualcosa esiste.”
Gottfried Wilhelm von Leibniz

Un languido sole rischiara il paesaggio spettrale dei ghiacci artici all’approssimarsi della primavera. Una famigliola di orsi bianchi s’aggira in cerca di cibo in quell’universo acqueo, ancora per poco allo stato solido, in cui sta per esplodere la luce della nuova stagione. All’emisfero opposto la creatura più imponente del pianeta, la megattera, osserva il proprio cucciolo tra le calme onde dei tropici: tra spruzzi e capriole di felicità i cetacei iniziano il lungo viaggio verso l’Antartide. E nel deserto del Kalahari (Africa sud-occidentale) una scia di elefanti alle prese con la siccità ha intrapreso il difficile itinerario che li condurrà al delta dell’Okavango, nelle terre umide dell’abbondanza.

Il mondo che ci viene presentato dall’occhio della telecamera pare osservare le regole archetipe dell’ordine e della bellezza, eppure, come recitava Democrito, “tutto ciò che esiste nell’universo è frutto del caso e della necessità”. E riguardo alla Terra potremmo aggiungere la fortuna, che ha permesso lo svolgersi della vita proprio su questo strano “pianeta blu”. La fortuna di trovarsi alla “giusta distanza” dal Sole. La fortuna d’aver subito l’impatto con un enorme asteroide che ha causato la particolare inclinazione dell’asse terrestre di 23,5 gradi rispetto all’astro di riferimento.
Da tali eventi hanno avuto inizio le stagioni, le differenze climatiche, le diversità e le varietà degli ecosistemi.

Tuttavia, Earth – La nostra Terra (regia di Alastair Fothergill & Mark Linfield), non è stato realizzato al mero scopo di magnificare l’armonia della natura, quanto di documentarne alcuni aspetti inusitati, o meno conosciuti, alla maggior parte di una popolazione inevitabilmente destinata a trascorrere la propria esistenza specialmente in biomi fortemente urbanizzati. Inoltre, alla sorprendente descrizione delle cosiddette “aree estreme”, al racconto del fragile equilibrio nel quale si svolgono – anno dopo anno – i cicli stagionali, e alla sempre più precaria sopravvivenza di alcune specie animali, corrisponde un appello accorato alla salvaguardia di questo meraviglioso e delicato sistema, sempre più compromesso dal riscaldamento globale.

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L’inquinamento e il degrado ambientale, il buco dell’ozono e l’effetto serra, la pressione demografica e la predazione delle risorse, non sono chiamati direttamente in causa, ma senza dubbio costituiscono le questioni più urgenti, e le cause più evidenti dello stato di fragilità della nostra madre Terra. Earth elabora una sorta di ritratto del pianeta, quasi una rappresentazione definitiva in vista di un futuro prossimo che potrebbe riservarci sgradite sorprese. L’epopea dell’orso bianco alla disperata ricerca di cibo attraverso l’areale ghiacciato che scompare ogni mese un poco, innalzando il livello del Mar Artico, evidenzia, meglio di ogni altra raffigurazione, la crescente difficoltà di una specie vivente a scongiurare il pericolo di estinzione.

Non è quindi un caso che La Walt Disney Pictures, in accordo con il Ministero dell’Ambiente e il 55° “Taormina Film Fest in Sicilia”, abbia presentato Earth – La Nostra Terra il 21 aprile 2009, in occasione del G8, Vertice dei Ministri dell’Ambiente, a Siracusa, come uno degli eventi collaterali del summit, un giorno prima dell’uscita mondiale del film per la ricorrenza della “Giornata Mondiale della Terra”. Earth, è stato ideato dalla Disneynature, la nuova label nata in seno alla Walt Disney allo scopo di realizzare, a cadenza annuale, straordinari documentari per il cinema sul tema della natura e dell’ambiente. Chiamati a intraprendere quest’affascinante avventura i migliori esperti del settore, come il capo della sezione Natural History della BBC Alastair Fothergill (Profondo Blu), il produttore  e documentarista della BBC Mark Linfield, e il “sempreverde” Jacques Perrin, celebrato artefice de Il popolo migratore.

Appare allora evidente, e di certo assai confortante, l’intenzione della casa di Topolino di produrre una serie di lungometraggi che rispondano a un interesse molto diffuso dell’opinione pubblica, e a una ritrovata esigenza del mondo della comunicazione globale: quella di una più approfondita conoscenza del pianeta Terra, e di un sempre maggiore impegno in favore della diffusione di una più consapevole coscienza ecologica. Naturalmente, la Disney non è nuova a questo genere d’iniziative, avendo già distribuito, tra gli anni Quaranta e Sessanta, un paio di note serie di pellicole sulla fauna che popola la biosfera (True-Life Adventures) e di argomento etno-antropologico (People and Places).

Il primo documentario che si fregia della nuova etichetta porta un titolo ecumenico e ambizioso: Earth – La nostra Terra. Si tratta della versione estesa dei filmati sulla natura e le sue meraviglie curati dalla BBC nella serie Planet Earth. È un’esperienza visiva unica che rappresenta una sorta di percorso attraverso il mondo per osservare e imparare ad apprezzare l’incredibile varietà e bellezza della vita. Perciò, la fragilità di questo ineguagliabile habitat ci obbliga moralmente a divulgarne, onestamente e compiutamente, la storia e le problematiche attuali, in primo luogo ai giovani, i quali, saranno, in un breve futuro, i soggetti destinati a ricevere in eredità il mondo. Un’ulteriore peculiarità di quest’opera consiste nell’utilizzo di tecnologie d’avanguardia, sia nella ripresa che negli effetti speciali, al fine di proporre immagini di una ricchezza e una nitidezza eccezionali.

Earth è un’opera spettacolare, adatta a tutti, piccoli e adulti, che suscita interesse, curiosità e immaginazione; tuttavia, grazie alla sua vasta gamma di argomenti, alle sue vicende coinvolgenti, e
alla sua grande valenza documentaria e pedagogica, risulta apprezzabile, particolarmente, in ambito scolastico, a fini didattici, formativi ed educativi. Le immagini, oltre al fine dell’istruzione ambientale, possiedono la capacità di tradursi in poesia, in musica per gli occhi (ai Berliner Philharmoniker è affidato, invece, il commento sonoro di George Fenton), in una sorta di “fiction” in cui gli animali protagonisti forniscono un saggio che è anche un compendio di generi cinematografici.

Le grandi migrazioni, per esempio, costituiscono uno dei temi più importanti del filmato, in quanto sono regolamentate dalle variazioni stagionali, perciò, costituiscono la ragione decisiva della sopravvivenza di alcuni importanti gruppi animali. Il road-movie implica sempre il superamento di svariati ostacoli prima del raggiungimento della meta: le damigelle di Numidia sono costrette a sorvolare le impervie cime dell’Himalaya (a circa 8500 s.l.m.) fustigate da venti implacabili, per giungere alle calde spianane della penisola indiana; in Canada, tre milioni di caribù sono impegnati in un esodo biblico di tremila chilometri, che li porterà a brucare nella tundra, dopo un lungo tragitto tormentato dalle continue insidie dei lupi famelici; nei deserti dell’Africa sud-occidentale i branchi di elefanti, accompagnati dai propri piccoli, si spingono verso le aree umide più a nord rischiando gli agguati dei leoni…

La suspense accompagna sovente queste immagini in cui gli animali protagonisti non recitano l’ansia del pericolo o la difficoltà di provvedere alla penuria alimentare. Semplicemente la vivono. Anche la disavventura di un esemplare maschio di orso bianco alla ricerca di cibo tra i ghiacci e le acque artiche può essere ascritta al genere del racconto di viaggio. La cinepresa segue la “bianca” solitudine della sua peregrinazione, e la disperazione seguita allo sfortunato attacco sferrato a una colonia di trichechi. Sequenze, a tratti, drammatiche, nelle quali in pochi istanti si gioca il destino di quella maestosa creatura vivente. Come nel caso delle foche, vittime di un formidabile predatore: lo squalo bianco, un pericolo costante anche per i cuccioli delle megattere impegnate nella lunga migrazione (6500 km) attraverso gli oceani.

Proprio nelle scene di caccia l’azione e il dinamismo trovano i momenti più spettacolari, e solo concentrandosi su questi aspetti si può riuscire a trascurare le immagini di una certa, seppur necessaria, ferocia, mediante la quale si realizza la funzionalità della catena alimentare. Esemplare, a proposito, la ripresa rallentata (mediante camera digitale in slow motion), ricca di interessantissimi dettagli, dell’inseguimento di una preda da parte di un ghepardo, il mammifero più veloce della Terra (110 km/h) sulle brevi distanze. Oppure la smisurata potenza di una megattera, posta in risalto dalle leggere ed eleganti evoluzioni nei mari antartici ricchi di krill, il principale nutrimento dei cetacei.

Ma Earth costituisce anche un tributo all’amore tra le varie specie animali, sentimento che si esprime nel corteggiamento degli uccelli del paradiso, che abitano la giungla di Papua Nuova Guinea, dove gli esemplari maschi, durante “le danze” per la conquista della femmina, assumono forme bizzarre e variopinte che destano l’ammirazione degli spettatori.

Un altro aspetto dell’amore riguarda quello delle madri nei confronti dei loro piccoli, più volte immortalati nel corso del documentario in tutta la loro dolcezza e simpatia; un amore che si esprime nella cura e nelle mille attenzioni riservate ai propri cuccioli e che, talvolta, provoca situazioni di assoluta comicità. Come nella sequenza in cui un’anatra mandarina impartisce lezioni di volo allo stuolo dei propri paperotti. Dopo la dimostrazione della madre, i simpatici anatroccoli si gettano impavidi da un ramo alto di un albero tentando un battito d’ali. Nulla da fare: il tonfo nel morbido fogliame è inevitabile, così come le risa del pubblico alla visione di tale goffo apprendistato.

Come in una sorta di reality show la cinepresa di Fothergill e Linfield penetra nell’intimità di molti animali, che assai raramente si erano osservati così da vicino. Non si tratta solo del raggiungimento di un prodigioso livello tecnico delle riprese e dell’impegno profuso nello svolgimento del progetto di Disneynature, quanto della descrizione appassionata e originale degli ambienti più difficili da raggiungere con le telecamere.

Il magnifico itinerario attraverso il pianeta presenta la splendida solitudine delle aree estreme polari e di quelle desertiche e torride, l’unicità e la ricchezza delle foreste continentali e pluviali, la singolarità dei biomi della tundra e della taiga, degli ambienti umidi e della savana, l’esplosione liquida delle cascate e il fascino misterioso del Mare Antartico. Ma, al termine di questa incantevole visione, non si riesce a celare un poco d’angoscia al pensiero dell’estrema precarietà di quest’irripetibile ecosistema, sempre più minacciato dal riscaldamento globale e dai conseguenti, disastrosi, cambiamenti climatici, che hanno ormai seriamente compromesso la conservazione della biodiversità.

CLAUDIO LUGI

Nota:
Una selezione dell’art. è stata pubblicata sul periodico diretto da Paolo Portoghesi ABITARE LA TERRA n. 24 anno VIII – autunno 2009.

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  1. 1
    Jannette

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