Sherlock Holmes (Robert Downey Jr.) e il suo assistente ed amico, il Dr. John Watson (Jude Law) sono due investigatori che aiutano spesso Scotland Yard a risolvere i casi più complicati. Dopo una collaborazione durata anni, però, i due si ritrovano sul filo della separazione, poiché Watson è intenzionato ad andare via e formare una famiglia con la sua promessa sposa, Mary (Kelly Reilly).
Ciò, insieme alla comparsa della vecchia fiamma Irene Adler (Rachel McAdams), sconvolgerà non poco l’universo di Holmes, che, dopo la cattura di Lord Blackwood (Mark Strong), si troverà senza lavoro e senza il fedele compagno, e la sua indole razionale incomincerà a vacillare. Ma sarà proprio il suo ultimo arresto, Blackwood, a rimescolare le carte in tavola, sparendo dalla propria tomba, dove era stato seppellito dopo l’impiccagione. Un caso irresistibile per Holmes, ma anche per Watson, che, scusa dopo scusa, rimanderà gli impegni con la fidanzata per aiutare l’amico nelle indagini, tra complotti, massoneria e magia nera.
Il film di Guy Ritchie è puro spettacolo, in cui ogni ingrediente è mescolato alla perfezione. Certo, non è il classico Sherlock Holmes quello con cui abbiamo a che fare: se pensate a un completo di tweed, un cappello all’inglese e una grande lente d’ingrandimento, cancellate tutto; quelli sono proprio i primi elementi che il regista ha accantonato, per fare spazio a un personaggio tormentato, bizzarro, imprevedibile, spericolato, amante dell’adrenalina, del mistero e delle belle donne. Certo, la mente di Holmes rimane comunque la sua più grande dote, ma in questa pellicola è affascinante notare come il regista l’abbia resa anche il suo più grande nemico: l’investigatore tende ad isolarsi, abbandonarsi all’alcool e alla depressione, rinchiuso nel suo studio a sperimentare su se stesso improbabili teorie.
L’arma vincente di questo adattamento tuttavia, è soprattutto il rapporto tra Holmes e Watson: sono amici, compagni, fratelli, una famiglia. Il loro rapporto ricorda molto quello tra Sundance Kid e Butch Cassidy. I due sono complementari e l’alchimia tra loro è palese, al punto da offuscare i personaggi femminili, che non decollano. Lo Sherlock Holmes di Ritchie fa, quindi, sicuramente riferimento al personaggio di Doyle, trasportandoci in un’epoca vittoriana cupa e un pò dark, condita da molta, moltissima azione, ma si concentra soprattutto sul protagonista, anzi, sui due protagonisti, e sul rapporto che li lega, che ci appare decisamente attuale.
Il film ha fatto storcere il naso a non pochi amanti dell’originale, ma questo non spaventa: l’adattamento è forse un po’ azzardato, certo, ma funziona: la pellicola scorre che è un piacere, le scene d’azione tengono col fiato sospeso e i pensieri di Holmes intrigano e affascinano.
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