(Foto di Marco Salzotto)

I Presidi di Slow Food

Prodotti da salvare, ma anche da vendere, su circuiti del gusto che in Toscana, più che altrove, trovano spazio e terreno fertile. Per qaesto, sempre attraverso Slow Food, sono nati nella regione una ventina di Presidi del Gusto per valorizzare altrettante meraviglie gastronomiche che vanno dal tenero Agnello di Zeri (sulle montagne di Massa-Carrara) vera leccornia da forno, alla cipolla da zuppa di Certaldo nella Valle dell’Elsa, passando per la bottarga di muggine di Orbetello che nulla ha da invidiare  a quella della Sardegna.

Il viaggio di Slow Food nel gusto toscano è profondo, giunge sui monti della Garfagnana in provincia di Lucca per recuperare il Biroldo, profumato e unico sanguinaccio (prima di fare smorfie disgustate è meglio assaggiare e pure paragonare con il Mallegato, sanguinaccio tipico di San Miniato), come nel cuore della Maremma perché non si perdano le tracce dei dolci di tradizione ebraica come il ricco e ghiotto Sfratto.

Dai fagioli alle carni

Poi fagioli (quello di Sorana, piuttosto che lo Zolfino del Pratomagno), fichi secchi di Carmignano in provincia di Prato, salumi (il mitico Lardo di Colonnata, la Mortadella di Prato, il prosciutto Bazzone e quello tipico del Casentino, le grosse pancette del Vandarno deonominate Tarese) formaggi (il raro Pecorino della montagna pistoiese), frutti (la Pesca Regina di Londa e Dicomano, vicino a Firenze), pani (la Marocca di Casola, in Lunigiana, fatta con la farina di castagne e il pane di patate della Garfagnana) e pesci (la Palamita del Mare di Toscana, specie di gustoso tonnetto). Ma anche le razze storiche toscane, come i bovini di Chianina e Maremmana, i maiali grufolatori di Cinta Senese o lo splendido pollo di razza Valdarnese, rischiano di rimanere travolte dalla modernità. La differenza tra la Toscana e altre regioni e che qui, forse più spesso che altrove, anche le pubbliche amministrazioni fanno la loro parte a sostegno della difesa dei sapori e del territori.

Cucina popolare e cucina di corte

Solo nell’elenco di ciò che rischia di scomparire c’è la grandezza gastronomica della Toscana dove, da sempre, c’è un doppio binario produttivo (sapori poveri e quotidiani e prodotti eccelsi per le mense dei ricchi) che si accompagna a una doppia cucina, quella popolare e quella delle corti, a partire da quelle rinascimentali. Le due cucine, più che altrove, però si compenetrano e portano, per quanto è possibile, il meglio dell’una nell’altra. C’è un ulteriore doppio percorso tutto toscano: la cucina delle città, che qui ha tradizione perché le città hanno una grande importanza nella storia e nell’economia regionale e quella dei territori limotrofi, campagne, colline, montagne, mari. Nella mescolanza tra generi spesso si trova l’eccellenza, caratterizzata, sempre da un’impronta di grande sobrietà. Nella capacità dei fiorentini di trattare le materie prime nascono capolavori di cucina povera come il panino con il lampredotto, preparato da trippaio con la parte più compatta e magra dello stomaco del bovino, cotta con odori e pomodori.

Pane, olio e libertà

Se si pensa ai piatti che hanno reso famosa la Toscana nel mondo si comprende in un attimo, in un profumo, in un ricordo, in una suggestione, quanto siano in primo piano i prodotti della terra e non le capacità dei cuochi. Occorrono forse grandi chef per fare la panzanella, l’acquacotta, la ribollita, la pappa col pomodoro, i fagioli all’uccelletto, i crostini alla toscana, la stessa bistecca alla Fiorentina?
No, servono pane, verdure, olio, carni sopraffine. Prodotti buoni, sani, tradizionali, legati al territorio, alle stagioni, ai cicli naturali.
Prendiamo ad esempio le carni: cosa accomuna i vitelli e i manzi di razza Chianina, Maremmana, Calvana (splendida razza da carne quasi estinta, presente sui monti del Mugello), ai porcelli di Cinta Senese, ai polli di razza Valdarnese, ai cinghiali dei boschi maremmani?
Il fatto che tutte queste specie animali sono insofferenti alle costrizioni, ai moderni cicli di allevamento. Richiedono ampi spazi per pascolare, grufolare, razzolare. Pretendono alimentazione naturale e rispetto di tempi di crescita “fuori mercato”. Eccola la differenza. Il paesaggio toscano non è, in gran parte, integro a caso. Lo è perché si è creduto che fosse un bene. Così come i prodotti dell’agricoltura e dell’artigianato toscano sono eccellenti non perché non siano arrivate le sirene della modernità, ma perché si è capito, almeno in parte, che le cose buone hanno pure un valore economico.

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