Fortunatamente, non sono tra i lettori del best seller L’eleganza del riccio di Muriel Barbery, autrice che ha fortemente contestato la riduzione cinematografica del suo libro. Non sono in grado, quindi, di fare paragoni ma posso affermare con certezza che Il riccio è certo davvero un film piccolo piccolo, una regia televisiva, una colonna sonora che sfiora un citazionismo trash anni ’80 mentre la storia ed i personaggi protagonisti, chi più chi meno, grondano stereotipìa da ogni frase ed inquadratura.

Ma non è un caso che non avessi letto il libro. I racconti e le sintesi che me ne avevano fatto alcuni amici mi avevano già irritato sul buonismo e sulla retorica dell’interiorità salvifica e mi avevano già stucchevolmente disgustato dall’idea di affrontare il volume della Barbery. Ma certamente uno stile poetico e la naturale evocatività della forma scritta, probabilmente, strappavano, ad un certo tipo di lettore radical-chic minimalista con turbe gozzaniane, un certo entusiasmo ed un’empatia per personaggi che sembravano stare perfino peggio di lui.

Putroppo, il film amplifica i limiti già presenti nel libro , ammantando tutto di una scontatezza visiva da serial televisivo. Le esistenze parallele di una bambina particolarmente intelligente ed incompresa con manie suicide e di una portiera che annega nella lettura la noia del suo statico impiego, vengono movimentate dall’arrivo nello stabile, dove vive la bambina ed esercita la portiera, di un alto borghese giapponese, colto e raffinato, che diverte la piccola e illude la vecchia con la chimera di una riscoperta libido.

Fortunatamente, quando si potrebbe giungere ad un improbabile finale sentimentale…brava la protagonista portiera, alquanto prevedibile la bambina, fintissimo e macchiettistico il nipponico. Insomma, una pellicola da evitare, forse soprattutto per chi ha letto il libro, criticabile ma certamente migliore.

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2Comments

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  1. 2
    Roberto

    E’ certamente condivisibile l’avversione al “buonismo”, soprattutto in un Paese dove si straparla di trionfo dell’amore vs clima d’odio….. però questo innocuo film tipicamente francese non merita l’accanimento del buon Raffaele (cui suggerirei di non suffragare la sua critica citando un libro che ammette – si vanta? – di non aver letto): a mio avviso la stereotipizzazione dei personaggi – tecnica peraltro rintracciabile forse nel 90% dei film – è qui stemperata da alcune simpatiche trovate, come i disegni animati e l’uso della telecamerina da parte dell’undicenne incompresa.

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